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ILNUOVOPAESE.IT del 2/8 maggio 2024, Numero 18 (Anno XIV) - IN COPERTINA

Gli innumerevoli volti della discriminazione verso il Sud dagli anni Sessanta ad oggi

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di Valeria Meli

Valeria Meli

Valeria Meli

TRA NORD e Sud in Italia – si sa – le differenze sono ancora enormi. E storicamente non sempre vi è stata tolleranza nei confronti degli emigrati provenienti dal Mezzogiorno.
Questa che segue è dunque un’auto-intervista in prima persona a una siciliana come chi scrive, ma che potrebbe essere fatta a qualsiasi meridionale che ha dovuto lasciare il suo paese d’origine e trasferirsi al Nord per problemi di lavoro.
«Mio padre e la sua famiglia, arrivarono a Milano nel giugno del 1963. Dovettero faticare non poco per ottenere una casa in affitto. I meridionali infatti generalmente vivevano in camerate senza comodità e senza riscaldamenti. La famiglia di mio padre però fu molto fortunata perché trovò in fitto una casa in una palazzina di nuova costruzione, a San Vittore Olona. Una fortuna ben motivata, visto alle spalle c’era una zia acquisita di mio padre, lombarda e figlia di industriali, che bussò a mille porte fino a che non ottenne la casa giusta.
«Quelli erano gli anni in cui i meridionali venivano pesantemente presi in giro; gli anni in cui se giravi per le strade di Milano o Torino, ma non solo, potevi leggere tranquillamente cartelli recanti questa scritta: “Non si affitta ai meridionali”.

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«Mio padre rimase a San Vittore Olona alcuni anni. Poi nel 1972 tornò in Sicilia e conobbe mia madre. E dopo meno di cinquant’anni ad emigrare al Nord fui io, dopo fu la volta di mio fratello. Se vogliamo  –  la nostra – fu una emigrazione diversa, di tipo intellettuale.
«Certo nel 2010 le cose erano molto cambiate rispetto a ciò che aveva dovuto conoscere mio padre: ormai la Lombardia era piena di figli di immigrati, i cosiddetti immigrati di seconda generazione, consapevoli che al Sud non vivevano solo delinquenti e ladri, come venivano descritti dallo stereotipo che avevano combattuto tanto i loro genitori.
«Tuttavia, una volta mi accadde un episodio che mi colpì molto profondamente. Era il mio primo anno di insegnamento in una scuola media, una terza. Ero – se posso dire – abbastanza invisa agli alunni perché avevo preso il posto del loro ex insegnante, che li aveva seguiti per due anni. Un giorno, in classe, ci fu una discussione tra due ragazzi, e intervenni cercando di capire bene le ragioni di entrambi. Loro fecero pace, ma poi uno di loro passò un bigliettino all’altro. Intercettai il foglietto e lo sequestrai. C’erano scritte queste parole: “È intelligente questa prof, anche se è siciliana”.
«Feci due risate amare, pensando che certe idee non potevano essere di ragazzini così piccoli, ma derivavano probabilmente dall’educazione ricevuta dai loro genitori.
«A parte questo bigliettino, però devo dire che non ho mai avvertito una forma di discriminazione in maniera così tanto esplicita come ai tempi di mio padre. Spesso l’ho sentita serpeggiare nei discorsi, volteggiare nell’aria. Ma, in generale, la differenza tra Nord e Sud ora si trova soltanto nell’accento della voce, nelle abitudini culinarie. E spesso, le diversità, danno spunto nell’intraprendere un dialogo simpatico ma in un certo qual modo canzonatorio: – Da dove arrivi con quell’accento?; – Da un paesino a nord di Sondrio, non si sente?
«Ma quando, in altre occasioni, il protagonista dei dialoghi è il cibo, noi del Sud possiamo anche diventare molto aggressivi: – Ma perché ti fai spedire un pacco dalla Sicilia pieno di cose da mangiare? Qui ci sono i supermercati, lo sai?; – Ma cosa vuoi capire tu? Il pacco da giù è un patrimonio mondiale dell’umanità!

Le varie forme della discriminazione

La bontà dei cannoli siciliano (immagine internet)

La bontà dei cannoli siciliani (immagine internet)

«Comunque, quella forma di razzismo che mi aveva colpita una decina di anni prima, era ormai cancellata dalla mia mente, fino a quando un giorno dello scorso anno accadde qualcosa che mi scosse profondamente.
«Era passato da qualche giorno il Natale, e una mia amica che vive da anni a Roma mi chiamò informandomi che era venuta a trovare una sorella a Milano, e che avrebbe avuto piacere di vedermi per una passeggiata tra le vie del centro. Ovviamente accettai con entusiasmo. Ci incontrammo in Duomo. Con lei, vi era anche sua sorella e dopo ci raggiunse una sua ex collega, andata da poco in pensione. Nonostante l’età, quest’ultima era una donna piuttosto giovanile, e riconobbi subito – dal modo di fare e di parlare – che era un’autentica milanese, di pura razza lombarda, come si suol dire.
«Chiacchierammo piacevolmente del più e del meno, fin quando non mi raccontò della sua recente vacanza in Sicilia. Insomma la discussione si spostò inevitabilmente verso questo argomento: le differenze tra Nord e Sud. Rimase piacevolmente colpita dall’apprendere che avevo ottenuto la mia laurea magistrale all’Università statale di Milano, dove mi erano stati riconosciuti alcuni esami svolti all’Università di Palermo.
«La donna, con molta naturalezza, mi guardò e mi disse, con una punta di cattiveria e malizia: – Ah, davvero in Italia ti hanno riconosciuto degli esami che hai dato a Palermo?
«Cadde un profondo silenzio di imbarazzo tra noi tutte. Dopo aver notato il mio sconcerto, la donna cercò di correggersi: – No, scusami, cioè intendevo dire… qui a Milano, non certo in Italia.
«Rimasi senza parole. La mia amica tentò di farci sopra una risata e di cambiare argomento. Anch’io tentai di riderci sopra ma – come nell’umorismo di pirandelliana memoria – lo feci molto amaramente.
«Certamente è passato tanto tempo dall’epoca in cui mio padre poteva leggere cartelli con su scritto: “Non si affitta ai meridionali”, e il cammino verso la completa integrazione ha fatto molta strada. Ma la verità è che, in fondo, quella forma di discriminazione, non è del tutto cancellata. Potremmo dire che è quasi un brutto ricordo, e che ogni tanto riaffiora».
Non resta che sperare che essa sbiadisca completamente e che per le future generazioni non ci siano più steccati di pregiudizio.

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