ALCHIMIA & DINTORNI
Sapere o non sapere? Il vero dilemma di Socrate che non è ancora stato risolto
Socrate e il suo pensiero è l’argomento di questa settimana nella rubrica “Alchimia & dintorni”. La vera Alchimia, ricordiamo ancora una volta, non mira infatti alla trasformazione del piombo in oro ma alla trasformazione dell’animo umano e al miglioramento di se stessi.
di Aleister
Tra gli alchimisti in senso lato non possiamo non annoverare, e non dedicarvi una puntata del nostro excursus, la figura di Socrate, il cui pensiero ha tanto influito sulle coscienze di intere generazioni, che lo hanno studiato cercando di assimilare almeno un frammento della sua saggezza.
Le notizie sulla vita di Socrate sono, in generale, poco numerose. Figlio di uno scultore e di una levatrice, nacque ad Atene, non sappiamo se nel 470 o nel 469 a.C.. Come i sofisti, anche Socrate mise al centro della sua ricerca filosofica l’uomo e il mondo umano, lasciando invece da parte i problemi riguardanti il cosmo che avevano interessato fino ad allora i filosofi naturalisti. Secondo Socrate si è uomini solo tra gli uomini, perché ciò che fa divenire tali è il rapporto con gli altri. In questo senso, occuparsi di filosofia comporta un esame incessante di se stesso e degli altri esseri umani: essere uomini ed essere filosofi è, per lui, la stessa cosa. Per questo motivo Socrate amava ripetere uno dei più noti motti dell’Oracolo di Delfi, “Conosci te stesso”. Fedele a queste convinzioni, ogni giorno frequentava le strade e le piazze di Atene, parlando continuamente con i suoi concittadini di temi morali e politici. Nonostante fosse considerato strano dai suoi contemporanei tanto per il suo modo di vivere quanto per la sua personalità irrequieta e per il suo fisico piccolo e tozzo, ben presto intorno a lui si radunarono moltissimi discepoli. Nel 399 a.C., all’età di circa settant’anni, l’Atene democratica lo mise sotto processo, con l’accusa di non credere negli dei tradizionali e di corrompere, con le sue idee, i giovani, spingendoli al disordine sociale. Probabilmente la causa di questo processo va ricercata nel fatto che, anche se Socrate aveva sempre cercato di tenersi lontano dalla politica, tra i suoi seguaci si contavano molti aristocratici appartenenti a una corrente nemica di quella allora al potere. Nonostante la sua vivace difesa, il filosofo fu condannato a morte. Coerente con la sua convinzione di avere un compito educativo nei confronti degli ateniesi, decise di non fuggire per non trasgredire le leggi della città: se la legge è giusta, diceva Socrate, lo è anche quando gli uomini la applicano ingiustamente, e perciò va rispettata. Con animo sereno, accettò, quindi, la condanna e bevve la cicuta. La coerenza e la dignità dimostrate in questo modo gli fecero guadagnare un grandissimo rispetto e un enorme successo: Socrate, infatti, fu considerato come il primo intellettuale ucciso dal potere a causa del suo pensiero. Al di là dell’esempio morale, Socrate ebbe anche una grandissima influenza su tutto il pensiero occidentale anche se, coerentemente con la centralità che attribuiva al confronto verbale e al dialogo tra esseri umani, non ha lasciato alcuna opera scritta. Parte del suo successo fu merito di Platone, suo discepolo, che lo rese protagonista di quasi tutti i suoi Dialoghi, tramandandoci, così, tracce del suo insegnamento. Non è certo, tuttavia, se le parole scritte da Platone siano davvero di Socrate o piuttosto le sue: l’unica opera platonica di cui è sicura l’aderenza alle parole di Socrate è l’Apologia, che raccoglie i tre discorsi pronunciati dal filosofo ateniese durante il suo processo.
“Sapere di non sapere” è il paradossale fondamento su cui si basa tutto il pensiero socratico. Si tratta della consapevolezza di non conoscenza definitiva vista, però, come spinta a volere e desiderare di conoscere. Socrate oppone, in questo senso, la figura del filosofo a quella del saccente, ovvero il sofista, colui che si presenta e si ritiene sapiente, almeno a livello di una conoscenza tecnica come può essere la retorica. Le fonti storiche dipingono Socrate come un personaggio mosso da una infinita sete di sapere e di verità, che però continuano a sfuggirgli. Il fatto di essere consapevole di non sapere lo rendeva più sapiente degli altri, dato che lo spingeva a non accontentarsi mai e ad assumere un atteggiamento di ricerca continua della conoscenza. Nell’Apologia viene descritto come Socrate abbia capito ciò in seguito a un episodio piuttosto singolare. Il sua amico Cherofonte aveva domandato alla sacerdotessa dell’oracolo di Apollo a Delfi, la Pizia, chi fosse l’uomo più sapiente di tutti. La sua risposta era stata: Socrate. Così lui, che sapeva di non essere il più sapiente, spinto dalla voglia di dimostrare all’oracolo che si sbagliava, andò a dialogare con coloro che avevano la fama di essere molto sapienti (artigiani, poeti, politici). Alla fine del confronto, messi di fronte alle proprie contraddizioni e alle proprie inadeguatezze, i sapienti si sentirono stupiti e smarriti, capendo quello che erano in realtà: dei presuntuosi ignoranti che non ammettevano di esserlo. “Allora capii”, dice Socrate, “che veramente io ero il più sapiente perché ero l’unico a sapere di non sapere, a sapere di essere ignorante”. Tutti quelli che vennero messi di fronte a questa verità presero, così, ad odiare Socrate, perché lui andava in giro smascherandoli e dimostrando che nessuno possedeva davvero l’onniscienza.
Per Socrate la cosa più importante, ciò che davvero ci porta a conoscere se stessi, è l’anima, che si trova ad un livello superiore rispetto al corpo (proprio come un vegetale è superiore a una pietra, o un animale a un vegetale); infatti, l’anima dura oltre il corpo. Tale tesi non era nuova nella cultura greca: tutto il filone mediterraneo orfico-misterico, il filone della religiosità dionisiaca contrapposto a quella olimpica, poneva la vera consistenza dell’uomo nella sua anima, ma l’essenza dell’anima era collocata nella irrazionalità, o almeno in una istintività affettivo-emozionale; Socrate, invece, è il primo a fondere in unità l’idea di anima spirituale immortale con il carattere della razionalità. L’uomo si trova non nei momenti in cui abdica alla razionalità (come nelle feste dionisiache), ma quando, riflettendo, usa la sua consapevolezza.
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