ILNUOVOPAESE.IT del 28 novembre / 4 dicembre 2024, Numero 48 (Anno XIV) - IN COPERTINA
La vita spericolata della Terra. Cosa ci insegnano le crisi della nostra biosfera?
cura di Roberto Macchiarelli
(Paleoantropologo, già professore ordinario al Dipartimento Geoscienze dell’Università di Poitiers e al Muséum di Storia Naturale di Parigi)
POCO MENO di 3 miliardi e 300 milioni di anni fa, poco più di un miliardo di anni dopo la sua formazione, il nostro pianeta fu centrato da un bolide extraterrestre (una condrite carbonacea) di 37-58 km di diametro, un mostro che viaggiava ad una velocità intorno a 20 km al secondo. Non era certo la prima volta, e non fu l’ultima (1 miliardo e 400 milioni di anni dopo, per esempio, fu la volta di un bolide di 46-73 km). L’impatto, la cui cicatrice non del tutto riassorbita si trova in Sudafrica, fu devastante. Col tempo, l’apporto di fosforo dall’ablazione atmosferica del meteorite, l’evaporazione parziale degli oceani e lo sconvolgimento della chimica delle acque stratificate (risalita dei livelli profondi ricchi in ioni di ferro ferroso Fe2+), furono però propizi ad una nuova fase dell’evoluzione degli ambienti e della vita batterica, anello chiave di una catena all’epoca ancora relativamente semplice e corta (organismi procarioti).
Leggere la storia turbolenta del nostro pianeta attraverso le pagine delle rocce e l’archivio dei reperti fossili testimoni di tante “vite spericolate” è come visionare un film di animazione proiettato a velocità accelerata, con poche, pochissime pause. Anche se decomponiamo i processi e modellizziamo i fenomeni, apparentemente nulla, o quasi, fu lineare, immediatamente prevedibile, specie per la vita, divisa tra pulsazioni esplosive e fasi di forte contrazione, fino all’estinzione.
Per semplificare il loro difficile lavoro, i ricercatori hanno arbitrariamente stabilito di definire “grandi crisi biologiche” solo quelle fasi di estinzione di massa che interessarono almeno il 75% della biosfera avvenute durante il Fanerozoico, l’eone che comprende gli ultimi 539 milioni di anni, i.e., meno del 12% del tempo di esistenza del pianeta. Ed anche così, l’impresa rimane ardua.
Tralasciando quello ben più corposo – ed ugualmente impressionante – delle “crisi minori” (<75% di estinzioni), consultiamolo anche solo en passant questo registro di grandi eventi catastrofici e vediamo se possiamo magari ricavarne qualcosa di utile, qualche allerta, qualche insegnamento, qualche idea per il nostro presente (e per il futuro degli altri). Proviamo, con un minimo d’impegno però, senza pensare si tratti di una fiction per ragazzi. Perché in realtà è storia della nostra storia, e sarebbe bene se un po’ tutti ne sfogliassimo qualche pagina, come si dice, per “presa visione”.
Il registro si apre a pagina -444 (transizione Ordoviciano-Siluriano). Fa più freddo rispetto al periodo precedente, che aveva visto una grande espansione della biodiversità oceanica. Le terre emerse, dove cominciano a diffondersi le piante vascolari – ma, a parte loro, non s’incontra molto altro di visibile ad occhio nudo – sono lontane dalla configurazione attuale. Il polo sud è occupato da quello che diventerà il Marocco, al momento tassello del mosaico Gondwana, mentre i due super-blocchi continentali Laurentia e Baltica si saldano provocando l’orogenesi “caledoniana” (questo tipo di dinamiche tettoniche è sempre associato al sequestro di enormi quantità di CO2, con conseguente riduzione della temperatura su scala planetaria). Il volume della calotta dell’emisfero australe è aumentato di cinque volte (250 milioni di km3). Nell’oceano è un’ecatombe: nell’arco di 2-3 milioni di anni sparisce almeno l’85% delle specie, incluse intere famiglie di coralli, brachiopodi, echinodermi, trilobiti…
Il secondo capitolo del Grande Freddo
A pagina -359 troviamo il secondo capitolo, ma, anche questa volta, non si tratta veramente di un “momento”, bensì di una nuova fase di raffreddamento (transizione Devoniano-Carbonifero) protrattasi per diversi milioni di anni in concomitanza con il boom evolutivo dei veri dominatori dei continenti: le piante gimnosperme. Al loro impatto sulla composizione atmosferica – dunque, sulle temperature – si aggiunse quasi certamente quello del meteorite che ha lasciato la sua firma nell’ampio cratere australiano di Woodleigh. Nuovamente, tra le vittime – il 75% della biosfera – si contano principalmente quelle marine, cui intanto si sono aggiunti degli organismi straordinari, le ammoniti (molluschi cefalopodi), mentre sulla terraferma si sono furtivamente affacciati i primi vertebrati (tetrapodi) a caccia d’insetti in ambienti ancora vergini e senza competitori.
Se volete veramente spaventare i bambini con una storia terrificante, leggete loro quella a pagina -252 del registro (transizione Permiano-Triassico). Questa volta, con la sparizione di oltre il 50% delle famiglie, l’80% dei generi, almeno il 75% delle specie terrestri ed il 96% (!) di quelle marine, la vita se l’è vista veramente brutta. Furono proprio le viscere mai dormienti del nostro pianeta a sconvolgere drasticamente gli equilibri ed assestare il colpo di grazia ad ecosistemi ed organismi che spariranno per sempre dopo essere stati fragilizzati da una protratta attività vulcanica in area cinese “appena” qualche milione di anni prima. Il killer si chiama “trappo siberiano”. Non si tratta di una località turistica, ma di una cosiddetta “grande provincia ignea”, o magmatica (LIP), all’epoca una lunga spaccatura della crosta nell’attuale Russia che, per circa un milione d’anni, vomitò ininterrottamente qualcosa come 6-8 milioni di km3 di lava ad una temperatura anomala (fino a 1.600° C), più elevata di quanto avviene comunemente, sprigionando insieme quantità smisurate di gas ad effetto serra, mentre gigantesche bolle di metano riguadagnavano la superficie dagli abissi producendo violente esplosioni. L’inferno dantesco? Un parco divertimenti. Ci vollero milioni e milioni di anni per rigenerare equilibri biologici destrutturati o distrutti, ma niente fu più come prima. In alcune regioni australi la temperatura aumentò di 16° C. Il picco delle esalazioni mortifere (soltano per l’anidride carbonica se ne stima una dose intorno alle 170×1012 tonnellate: inimmaginabile) durò almeno 60.000 anni, troppo per la più parte degli organismi, che morirono per asfissia su di un pianeta tanto torrido sulla terraferma – colpita anche da piogge acide – quanto invivibile negli oceani ormai impoveriti d’ossigeno (anossia) ma ricchi di acido solfidrico (euxinia). Un pianeta ovunque tossico: per fortuna, noi umani non eravamo ancora “stati inventati”.
Siccome dopo la lettura di pagina -252 i bambini non si saranno di certo addormentati, proseguite con qualcosa dai toni meno drammatici andando direttamente a pagina -201 (intanto, non dimenticate di salutare i simpatici trilobiti: non li rivedremo mai più). Durante la transizione Triassico-Giurassico, sparirono il 47% dei generi e l’80% delle specie. Di nuovo, la causa fu endogena: una nuova LIP (forse con l’aiutino di un ennesimo bolide extraterrestre, quello di Manicouagan, caduto pochi milioni di anni prima dalle parti del Canada) estesa NE-SO per 6.000 km che, portando in superficie immensi volumi di lava (ma emessa a temperature inferiori a quelle della crisi precedente) trasformata col raffreddamento in fondo oceanico di basalto, scardinò lentamente la neo-formata Pangea generando l’embrione di quello che sarà l’Atlantico (tuttora in lenta espansione grazie al medesimo meccanismo), come si fa tirando verso il basso la cerniera lampo di un vestito separandone quindi lentamente le due parti, perpretando il valzer dei continenti ritmato dalla tettonica terrestre (che, evidentemente, perdura oggigiorno, come ben sa chiunque abbia vissuto l’esperienza di un terremoto, ma non solo). Insomma, una crisi profonda, ma lenta. I bambini rischieranno perfino di annoiarsi… fino a quando non aprirete l’irresistibile pagina -66: quella del “piccolo” (9-14 km) meteorite di Chicxulub, caduto al largo dell’attuale Messico, che spazzò via decine e decine di milioni di anni d’evoluzione e di dominio incontrastato dei grandi rettili (lasciando però, e per fortuna, spazio a noi mammiferi). Come già aveva fatto il vulcanismo cinese 190 milioni di anni prima, questa volta furono i “trappi del Deccan” a riversare lava su qualcosa come 1,5 milioni di km2 di territorio in 30.000 anni di attività feroce, fragilizzando ecosistemi e diverse linee evolutive di dinosauri, ma non tutte.
Ma tanto, questa storia i bambini la conoscono già, anche se per loro è magari difficile immaginare, tra altri effetti, un’onda di tsunami di 1-2 km di altezza e la formazione dei livelli argillosi scuri ricchi d’iridio extraterrestre deposti rapidamente al di sopra dei calcari. Semplicemente, il 76% delle specie (tra cui le ammoniti, anche quelle capaci di raggiungere gli abissi) sparì, “in un attimo”: lo smalto dei denti dei vertebrati defunti testimonia che, nell’emisfero boreale, quell’ultimo giorno del Cretacico (Mesozoico), il primo del Paleocene (Paleogene), era primavera.
L’anatomia dei mega-cataclismi della storia della Terra – endogeni, come quelli causati dalle “grandi province ignee” (o dalle ultime cinque generazioni di Homo sapiens), o esogeni, come l’impatto di un bolide extraterrestre – rivela che, invariabilmente: (i) in modi e tempi sempre diversi, tutti gli ecosistemi (comunità di viventi ed i loro ambienti) si fragilizzano, si semplificano, e gli equilibri dinamici costruiti attraverso la selezione naturale in decine, in centinaia di migliaia di anni di processi evolutivi tendono a saltare e, comunque, non ritorneranno mai più esattamente allo statu quo ante la crisi; (ii) indistintamente, tutte le specie si fragilizzano nei loro adattamenti fondamentali: la più parte sparisce, rapidamente; alcune soffrono, riducono sensibilmente habitat e numerosità, “rivedono” la polarità dei loro “progetti” evolutivi, ma attraversano malconce la crisi; poche, pochissime, apparentemente spariscono, per poi riapparire in filigrana una volta attenuatesi le condizioni sfavorevoli, anche molto tempo dopo; (iii) nuovi modi di funzionare, nuove soluzioni, nuove specie emergono dalle macerie delle precedenti; (iv) una volta il sistema riavviato, si giocano i supplementari, con regolamenti di conti in seno agli ecosistemi per stabilire nuovi sistemi di equilibri dinamici; (v) ogni volta, i risultati sono diversi, imprevedibili, ma la vita, poco importa il livello di complessità, se ne esce sempre (o, almeno, finora così è successo in quasi 4 miliardi di anni della sua storia).
Ora i bambini si sono addormentati. Forse meglio attendere ancora qualche anno prima di rivelare loro che stiamo – stanno, senza rendersene conto – vivendo la quotidianeità subdolamente silenziosa della sesta, drammatica “grande crisi della biosfera”, generata dalle perturbazioni di nuovi tipi di fattori d’impatto, finora sconosciuti ma efficaci, attivi appena da poco più di un secolo ma che operano spietatamente ad un ritmo di anno in anno più serrato, un po’ come se la natura dovesse far fronte ogni giorno ad un bolide di taglia via via crescente: ad un certo punto, sarà troppo anche per la sua proverbiale resilienza.
Comunque, non preoccupiamoci troppo per loro, tanto i bambini se ne accorgeranno presto da soli, quando magari comincerà a scarseggiare l’acqua, per esempio. Per la biosfera, poi, inutile fargli sapere che l’83% dei mammiferi terrestri e l’80% di quelli marini, il 50% dei macro-organismi vegetali, il 15% dei pesci…, tanto gli adulti hanno già rimediato con la realtà virtuale, e l’Intelligenza Artificiale completerà l’opera.
Grazie al contributo delle ultime cinque generazioni di nuovi organismi sapiens sapiens, nulla, nulla sarà più come prima. E questo, anche senza sapere granché di paleobiologia evolutiva, ormai lo sappiamo per certo, non facciamo finta.
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