ALCHIMIA & DINTORNI
Alla scoperta dell’inconscio collettivo con la psicologia alchemica di James Hillman
di Aleister
RITORNIAMO SU Hillmann e la sua psicologia alchemica.
Nato in America nel 1926 da una famiglia ebrea e morto nel 2011, James Hillman ha diviso la sua esistenza tra America ed Europa. Psicologo di scuola junghiana, si è dedicato alla carriera accademica e poi ha diretto una casa editrice (la Spring Publications) proprio allo scopo di diffondere le opere junghiane nonché le proprie idee.
Il concetto di psicologia archetipica era già stato delineato da Jung ma viene esplicitato da Hillman: gli archetipi sono le forme primarie delle esperienze vissute dall’umanità nello sviluppo della propria coscienza, e sono condivisi da tutti, in ogni tempo e in ogni luogo. Sono immagini elaborate e stratificatesi nel corso del tempo (per Hillman tutto ciò che percepiamo attraverso i sensi è immagine). Questi simboli costituiscono l’inconscio collettivo, che preesiste alla psiche individuale, che contribuisce a formare.
Anche il concetto di psicologia analitica, delineato da Jung, è precisato ed elaborato da Hillman: l’analisi non deve esaurirsi nelle sedute tra terapeuta e paziente, ma è un qualcosa che deve avvenire ininterrottamente, ogni qualvolta noi ci sforziamo di comprendere i nostri comportamenti, di correggere i nostri errori, di fare qualcosa; in altre parole, ogni qualvolta proviamo a esplorare la nostra anima (cioé a fare anima, secondo la terminologia di Hillman). Ciò può avvenire, in particolare, attraverso l’analisi dei sogni, che sono il modo in cui l’inconscio individuale si riappropria dell’inconscio collettivo, cioé il modo in cui l’anima si ricollega all’archetipo. La psicologia, in altre parole, deve diventare terapia delle idee, non delle singole persone.
Un altro concetto molto importante per Hillman è quello del mito. Gli archetipi costituiscono la radice dei miti, e questi si manifestano nell’anima; quando, però, prendono il sopravvento sul loro ospite nasce l’alienazione, cioé la perdita di sé. La psiche si ammala quando non riesce a tener dietro alle pressioni e alle aspettative che l’ambiente sociale esercita su di noi. Nel processo psicanalitico, perciò, non si può mai parlare di vera e propria guarigione, ma è importante che il soggetto prenda coscienza di quali sono i miti che governano la sua personalità, in modo da temperarne gli effetti negativi.
Hillman non era solo uno psicanalista ma lo si può definire anche un filosofo e, più in generale, uno studioso a trecentosessanta gradi. Inevitabile, quindi, che, come Jung, si sia interessato anche di Alchimia, anche lui nell’ultimo periodo della propria produzione scientifica. Ne è testimonianza la sua opera Psicologia alchemica.
Del resto, come la psicologia archetipica, anche l’Alchimia si basa su simboli, di regola oscuri. Nel Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto Dio è chiamato la Luce archetipica. L’immaginario e il linguaggio alchemico, dunque, dovrebbero costituire una risorsa per la pratica psicanalitica, dato che il fine ultimo dell’Alchimia è trasformare se stessi, cioè la propria anima, e quello della psicologia è trasformare anime sofferenti in anime rasserenate. Hillman crea un vero e proprio parallelismo tra i tre stadi dell’opus alchemico e i momenti dell’opus analitico: alla nigredo corrisponde la depressione, all’albedo la riflessione e alla rubedo la ritrovata armonia.
Un altro tratto distintivo comune alle due discipline è quello dell’oscurità. L’Alchimia, secondo Hillman, è governata dal caos: il linguaggio usato dagli alchimisti è volutamente oscuro, e solo qua e là si intravvedono bagliori di luce. Allo stesso modo, la psiche si esprime attraverso l’oscurità: i bagliori di luce traspaiono attraverso i sogni, che sono spesso confusi, e anche quando non lo sono hanno sempre un significato recondito. Sta a noi decifrarli e scorgere in essi gli archetipi che ci governano, proprio come sta allo studioso di Alchimia penetrare il significato delle parole dei maestri.
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