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SCIENZA STORIA & NOI

«Apri la bocca, e ti dirò chi sei». La nostra storia racchiusa in un dente

I denti costituiscono i resti più numerosi e meglio preservati nel registro fossile dei vertebrati, incluso quello degli ominidi, la nostra famiglia zoologica. Le analisi di immagine 3D permettono di catturare dettagli morfologici finissimi, come nel caso della mandibola neandertaliana di Regourdou, nel Périgord, Francia (immagine dell’autore)

I denti costituiscono i resti più numerosi e meglio preservati nel registro fossile dei vertebrati, incluso quello degli ominidi, la nostra famiglia zoologica. Le analisi di immagine 3D permettono di catturare dettagli morfologici finissimi, come nel caso della mandibola neandertaliana di Regourdou, nel Périgord, Francia (immagine dell’autore)

cura di Roberto Macchiarelli

R. Macchiarelli(Paleoantropologo, già professore ordinario al Dipartimento Geoscienze dell’Università di Poitiers e al Muséum di Storia Naturale di Parigi)

AL RIENTRO in laboratorio da una missione scientifica di ricerca condotta in qualunque regione del pianeta (o quasi), poco importa la natura del terreno ed il contesto geo-cronologico (o quasi), qualsiasi équipe interessata alla lunga storia evolutiva dei vertebrati conterà nel suo paniere un numero di resti dentari senz’altro più importante di quello di qualsiasi altro reperto biologico, anche osseo. Questo, non è sorprendente date due caratteristiche proprie ai denti: in ogni individuo, essi sono piuttosto numerosi e, soprattutto, costituiscono comunemente gli elementi più mineralizzati di un organismo – dunque, quelli che nel tempo si conservano più facilmente nei sedimenti –, risultato adattativo di una delle tante storie dell’evoluzione cominciata negli oceani quattro centinaia di milioni di anni fa.

Vuoi sapere chi sei? Chiedilo al tuo dente

Ricostruzione virtuale in falsi colori di un primo molare inferiore di un umano moderno (a destra) e di un neandertaliano (La Chaise, Francia, a sinistra). La corona (in celeste) è rappresentata in trasparenza, mentre la dentina è in giallo. Il cromatismo delle radici schematizza alcune differenze tra le due specie nella velocità, ritmo e modalità di costruzione dello stesso tipo di dente (i colori “caldi” corrispondono a fasi di accrescimento più rapide rispetto a quelli “freddi”) (immagine dalla rivista Nature, 2006)

Ricostruzione virtuale in falsi colori di un primo molare inferiore di un umano moderno (a destra) e di un neandertaliano (La Chaise, Francia, a sinistra). La corona (in celeste) è rappresentata in trasparenza, mentre la dentina è in giallo. Il cromatismo delle radici schematizza alcune differenze tra le due specie nella velocità, ritmo e modalità di costruzione dello stesso tipo di dente (i colori “caldi” corrispondono a fasi di accrescimento più rapide rispetto a quelli “freddi”) (immagine dalla rivista Nature, 2006)

Parafrasando il titolo di un arcinoto film di Woody Allen, “tutto quello che avreste voluto sapere…” su voi stessi – ed in parte, anche su vostra madre – a proposito delle primissime fasi del vostro esistere, ma che giustamente ignorate, provate a chiederlo ad uno dei vostri denti: vi risponderà! In realtà, non a tutti i denti, e non a tutti è possibile porre la stessa domanda. Ma andiamo per ordine limitandoci a trattare il caso di noi umani, ignorando per brevità la variazione espressa dagli altri mammiferi e vertebrati (e cercando di non essere troppo noiosi). D’altronde, l’archivio dei resti fossili degli antenati che possiamo utilizzare per indagare sulle nostre origini e ricostruirne le fasi evolutive nel contesto degli altri organismi è, appunto, soprattutto rappresentato da denti.
Durante l’accrescimento e fino alla fine dell’adolescenza, noi formiamo due dentizioni: quella primaria (decidua, “da latte”) e quella secondaria (detta impropriamente “permanente”, anche se raramente con l’avanzare dell’età conserviamo la totalità dei nostri denti). Siamo pertanto dei “difiodonti” (a differenza dei monofiodonti e dei polifiodonti [quest’ultimi come i canguri, gli elefanti, gli squali, i coccodrilli…]). Questo è interessante perchè le due dentizioni non sono mutualmente esclusive nel tempo, ma si interfacciano per una decina d’anni costituendo un eccezionale archivio bio-culturale dei nostri primi 18-20 anni. Altra caratteristica è quella di essere “eterodonti”, cioè di possedere elementi dentari di diversa morfologia (incisivi, canini…), ciascuno con il proprio registro dei modi e tempi di formazione.

Sezione istologica della corona di un molare deciduo (“da latte”). Tra le cuspidi, si possono notare le ondulazioni delle linee incrementali dello smalto deposto in strati secondo una cronologia precisa a partire dalla giunzione con la dentina (porzione in basso) (immagine dell’autore)

Sezione istologica della corona di un molare deciduo (“da latte”). Tra le cuspidi, si possono notare le ondulazioni delle linee incrementali dello smalto deposto in strati secondo una cronologia precisa a partire dalla giunzione con la dentina (porzione in basso) (immagine dell’autore) v

Gli elementi della dentizione primaria (cinque per arcata, complessivamente 20: otto incisivi, quattro canini, otto molari) cominciano a formarsi intorno al quarto mese di gestazione, mentre il più precoce elemento “permanente”, destinato comunemente ad accompagnarci per lungo tempo, talvolta per tutta la vita, è il primo molare (ne possediamo due superiori e due inferiori), le cui cuspidi della corona in via di formazione sono talvolta già presenti al momento della nascita (specie negli individui di sesso femminile, a crescita leggermente più rapida per la maggior parte degli organi). Anche se gli incisivi “da latte” (di norma, quelli inferiori) si affacceranno nel nostro sorriso di bebè solo all’età di circa 6-9 mesi (controllate le foto fatte all’epoca dai vostri genitori), in realtà, insieme alle corone di tutti gli altri elementi decidui, si trovavano in bocca già da molto prima, ma coperti dal tessuto gengivale.
I tessuti mineralizzati dei denti hanno un tasso di crescita “circadiano” – da circa diem, ritmo fisiologico di circa 24 ore – che può essere misurato con grande precisione illustrando così la durata di formazione delle corone (smalto + dentina) e quella delle radici (dentina + cemento). Al momento di mineralizzarsi, uno strato sottile (linea incrementale) di quello che diverrà smalto (inizialmente, si tratta di una sostanza amorfa proteica) deposto dalle cellule in un giorno forma una “stria trasversale”, mentre una cosiddetta “stria di Retzius” delimita un periodo di crescita normale di circa una settimana (ma la durata di questo processo varia tra le specie, anche tra i nostri antenati). Insomma, la cronometria di formazione dei nostri denti (odontocronologia) è estremamente precisa e tutto viene trascritto e chiuso a chiave al loro interno. Al di là di una certa soglia di tolleranza, anche le perturbazioni nella formazione delle corone dovute a traumi, malattie, stati carenziali… sono registrate in modo virtualmente indelebile e via via archiviate a livello istologico (dove sono identificabili come “bande di Wilson”). Se si tratta delle corone decidue già in formazione in utero, queste perturbazioni potrebbero aver interessato prioritariamente la madre del nascituro, come nel caso di Delia, la ventenne salentina sepolta 27 mila anni nella grotta di Santa Maria di Agnano, presso Ostuni, che non riuscì a portare a termine la sua gravidanza ed il cui bimbo, morto con lei intorno alla trentaduesina settimana di gestazione, preserva le stimmate dentarie (“bande di Wilson”) di tre episodi severi di stress sofferti durante gli ultimi due mesi e mezzo prima del tragico evento.

La linea neonatale (stelline gialle) separa lo smalto dentario formato in utero (stella in ciano) da quello postnatale (in verde). La sua larghezza (di diversi micron), che esprime un disturbo importante della crescita fisiologica, dipende dalla durata della gestazione e dalle modalità e dinamiche dell’evento stressante del parto (immagine dell’autore)

La linea neonatale (stelline gialle) separa lo smalto dentario formato in utero (stella in ciano) da quello postnatale (in verde). La sua larghezza (di diversi micron), che esprime un disturbo importante della crescita fisiologica, dipende dalla durata della gestazione e dalle modalità e dinamiche dell’evento stressante del parto (immagine dell’autore)

Come abbiamo visto, alla nascita tutte le corone – ma non ancora le radici – della dentizione primaria sono in avanzato stato di formazione e annoteranno l’evento stressante della transizione dalla vita intra- a quella extra-uterina sotto forma di una sorta di cicatrice dello smalto, chiamata “linea neonatale”, interfaccia a partire dalla quale si aggiungeranno, ancora per qualche tempo, degli ulteriori strati di smalto fino al completamento della corona, un po’ come se si trattasse di una cipolla. Per qualcuno (più probabilmente di sesso femminile), ma non per tutti, la registrazione dell’evento della nascita rimarrà stoccata anche in un angusto angolo di almeno una delle cuspidi del primo molare “permanente” e, per chi conserverà integro almeno uno di questi quattro elementi, lo rimarrà per decenni.
All’età di circa 10 anni, tutti gli elementi decidui saranno normalmente sostituiti da quelli della dentizione secondaria (che consiste di 32 elementi). Dal quarto mese di vita intrauterina all’età del diritto al voto, le dentizioni testimoniaranno senza soluzione di continuità le criticità di salute di nostra madre, il “momento” della nostra venuta al mondo, la fase dello svezzamento, le perturbazioni che interferiranno con la nostra crescita: tutto rimarrà impresso nella nostra bocca. Come nel caso della breve vita di un altro antico pugliese, il bimbo di 17 mila anni fa di Grotta delle Mura, presso Monopoli, che, seppure sopravvissuto alla nascita forse soltanto 500 giorni, soffrì almeno nove episodi di stress, tre pre- e sei post-natali (il primo, 21 settimane prima di nascere, l’ultimo 20 prima di morire), di un’entità tale da alterare il processo fisiologico di formazione delle crone.
Se una giovane donna sosterrà una o più gravidanze e partorirà tra l’età al menarca e la fine dell’adolescenza, è probabile poi che questi eventi impattino strutturalmente anche le radici in formazione dei suoi secondi e terzi molari (“linea del parto” della dentina radicolare). Ma non basta: attraverso l’analisi geochimica ad alta risoluzione (mappatura) di diversi elementi chimici fissati nei tessuti dentari durante la loro mineralizzazione ed il calcolo delle proporzioni di alcuni isotopi stabili (come i rapporti 138Ba/43Ca, 87Sr/86Sr, 44Ca/42Ca, 13C/12C…), con sorprendente precisione (fino ad una scala inferiore al micron, la millesima parte del millimetro), l’archivio ci svela anche da dove veniamo, se qualche tempo dopo il nostro concepimento nostra madre si è spostata nel territorio (la “firma geochimica del domicilio”), qual era l’ambiente minerale e vegetale circostante e quali le sue fluttuazioni stagionali, inclusa la temperatura (variazioni degli isotopi dell’ossigeno 18O/16O), cosa abbiamo mangiato… Per non parlare di diversi tipi di proteine e, talvolta, del DNA presi in trappola nello scrigno. Ecco perché la qualità delle indagini sulle caratteristiche e la storia evolutiva dei nostri antenati può talvolta sorprenderci per precisione di dettagli: basta conoscere la formula magica per aprire lo scrigno!
Semmai un giorno gli agenti di polizia si trasformeranno in ricercatori tecnicamente equipaggiati, al posto di mostrare la carta d’identità potrà invece esserci domandato di fare un bel sorriso.

Diverse tecnologie di ricerca ad altissima risoluzione, come la luce sincrotrone, consentono ai ricercatori di accedere con grande precisione all’archivio di informazioni bio-culturali archivite in forma indelebile nei tessuti mineralizzati dei denti, anche in reperti vecchi milioni di anni (immagine dell’autore di analisi condotte dal paleobiologo Arnaud Mazurier al sincrotrone di Grenoble, in Francia)

Diverse tecnologie di ricerca ad altissima risoluzione, come la luce sincrotrone, consentono ai ricercatori di accedere con grande precisione all’archivio di informazioni bio-culturali archivite in forma indelebile nei tessuti mineralizzati dei denti, anche in reperti vecchi milioni di anni (immagine dell’autore di analisi condotte dal paleobiologo Arnaud Mazurier al sincrotrone di Grenoble, in Francia)

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