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ALCHIMIA & DINTORNI

Dal sole alla luna, lo Yin e lo Yang che ci porta direttamente nell’alchimia antica

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Come si può presentare un laboratorio alchemico (immagine web)

 di Aleister

La copertina de "L'alchimista antico" di Matteo Martelli

La copertina de “L’alchimista antico” di Matteo Martelli

L’OPERA DI di Matteo Martelli L’alchimista antico ripercorre la storia dell’Alchimia fino al X sec., in particolare quella egiziana, greco-romana e bizantina, prima della sua ricezione e sviluppo nell’Occidente latino. L’Alchimia antica viene indagata nei contesti sociali e culturali che ne determinarono la nascita, insistendo sui rapporti con discipline affini, come medicina e filosofia naturale.
L’Alchimia si sviluppò contemporaneamente sia in Oriente che in Occidente, ma assunse caratteristiche diverse in base al luogo e al periodo storico.
In Cina la tradizione alchemica risale probabilmente al IV secolo a.C., ma è documentata con sicurezza solo a partire dal II secolo a.C. nel commentario di Wei Po-Yang al Libro delle mutazioni. In quest’opera si descrivono alcuni dei cardini dell’Alchimia cinese. Alla base di tutto ci sono i due principi contrari: Yin, associato al Sole, e Yang, legato alla Luna. Da questi due fattori (uno attivo, Yin, e l’altro passivo, Yang) traggono origine cinque elementi (acqua, fuoco, legno, metallo e terra), collegati ai pianeti. Col passare dei secoli l’Alchimia cinese si legò sempre di più alla religione taoista.
In India le arti alchemiche si svilupparono soprattutto in senso soteriologico, ovvero per raggiungere la rinascita e la liberazione del corpo. Gli alchimisti indiani conducevano esperimenti chimici i cui risultati materiali, in realtà, avevano un’importanza secondaria rispetto a quelli spirituali. Il fine ultimo di questi ricercatori era l’Amrtattva, la vita senza morte.

L'alchimia, come viene presentata dalle pagine di alcuni testi (fonte internet)

L’alchimia, come viene presentata dalle pagine di alcuni testi (fonte internet)

In Occidente l’Alchimia venne praticata dapprincipio dagli egiziani, considerati i più grandi alchimisti dell’antichità. Il fondatore dell’Alchimia in Egitto è avvolto nella leggenda e viene ricondotto al dio Thot, chiamato dai greci Ermete Trismegisto. In Egitto gli alchimisti notarono che la terra nera del Nilo diventava limo fertile grazie all’“humus”, una sostanza derivante dalla macerazione di foglie, alberi e anche animali morti. Gli studiosi osservarono che le piante venivano mangiate dagli animali erbivori, che i carnivori mangiavano gli erbivori e che ogni essere vivente, decomponendosi, tornava così a far parte di questo ciclo naturale per rimanervi in eterno. Per evitare, allora, che i resti umani si trasformassero in “altro” nel corso di queste “trasmutazioni periodiche” dell’humus, gli alchimisti egizi studiarono come mummificare i cadaveri, in modo che i corpi rimanessero inalterati anche dopo la morte.
Dei testi originali degli egiziani non è sopravvissuto nulla, ma le loro conoscenze furono riprese dai greci. Quando i greci vennero a contatto con l’Alchimia egizia, la mescolarono con diverse correnti filosofiche e la svilupparono. L’evoluzione dell’arte alchemica greco-egiziana passò attraverso tre fasi. Nella prima l’Alchimia era concepita essenzialmente come una tecnica, una serie di conoscenze empiriche apprese nei secoli dagli egiziani. La seconda fase vide questo sapere pratico dotarsi di una base filosofica proveniente dal pitagorismo, dalla scuola ionica e dallo gnosticismo. L’ultimo passaggio, avvenuto in età imperiale romana, portò l’Alchimia a diventare una religione esoterica munita di un complesso sistema di rituali e con un linguaggio particolare e criptico. Il dio venerato era sempre Ermete Trismegisto a cui veniano attribuiti un gran numero di testi filosofici, soteriologici e religiosi scritti in età ellenistica e imperiale. Questo Corpus Hermeticum presentava come supporto dottrinale la metafisica neoplatonica. Gli alchimisti di questa corrente sono in gran parte leggendari ed oscuri. Godevano di grande fama Maria l’ebrea (famosa anche tra i non addetti ai lavori per aver creato il sistema di cottura a bagnomaria), Bolo di Mende, Ostane, Cleopatra e Zosimo di Panopoli (il primo autore che firmò col suo nome le opere che scrisse).
In epoca medievale l’Alchimia fu praticata e migliorata dagli arabi. Gli alchimisti islamici condussero molti esperimenti che furono di vitale importanza per il futuro sviluppo della chimica e lasciarono una grande quantità di opere. Nell’VIII secolo visse il più noto alchimista arabo: Jabir Hayyan (chiamato in latino Geber), scopritore delle quattro qualità base di ogni elemento (caldo, freddo, secco e umido), che con i suoi scritti influenzò enormemente tutta l’Alchimia tardo-medievale.
In Europa l’Alchimia ritornò in auge solo dopo il 1100 grazie alla riscoperta del Corpus Hermeticum e alla traduzione delle opere arabe iniziata da Gerardo di Cremona (traduttore dell’Almagesto) e Roberto di Chester (che tradusse il Liber de compositione alchimiae). Il terreno d’incontro tra gli alchimisti arabi e quelli europei fu la Spagna. Da secoli questo territorio era in mano ai musulmani e da lì partivano per il resto dell’Europa molte innovazioni grazie alla fiorente attività filosofica e culturale degli Emirati locali. Nel 1200 l’opera di riordino del materiale alchemico fatta dai filosofi Alberto Magno e Tommaso d’Aquino permise al primo vero alchimista medievale d’Occidente, Ruggero Bacone, di porre le basi della futura Alchimia rinascimentale e moderna. Tuttavia nel 1300 la bolla Spondent pariter di Giovanni XXII assestò un colpo durissimo all’Alchimia, in quanto questo decreto papale vietava la pratica alchemica a tutti i cristiani. Si aprì, così, una stagione di declino dell’Alchimia, in cui spiccarono solo pochi personaggi come Nicolas Flamel.

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