Print This Post Print This Post

ALCHIMIA & DINTORNI

Hypnerotomachia Poliphilii, ovvero l’amore eterno di Polifilo per la sua Polia

sacro-11-MOD

Cover copiadi Aleister

QUESTA VOLTA  non parleremo di un autore ma di un libro particolare, circondato da un alone di mistero. Considerato il più bel volume mai stampato, l’Hypnerotomachia Poliphilii, ossia “Il combattimento amoroso condotto in sogno da Polifilo”, è un romanzo allegorico sull’amore di Polifilo per Polia. Il libro uscì nel 1499 dalla tipografia di Aldo Manuzio, che per l’occasione utilizzò uno specifico carattere appositamente inciso da Francesco Griffo, il celebre tipografo bolognese considerato l’inventore del corsivo. Nulla di certo si sa dell’autore. Alcuni hanno notato che le lettere con cui iniziano i 38 capitoli, lette insieme, danno Poliam frater Franciscus Columna peramavit (ossia “frate Francesco Colonna amò intensamente Polia”), indicando l’acrostico il nome del possibile artefice, Francesco Colonna, cui è convenzionalmente attribuita l’opera. Ma chi fosse in realtà questo frate, tuttavia, non è dato sapere: forse si tratta di un domenicano, indocile e libertino, del convento dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia (l’ipotesi più accreditata); forse, invece, dell’omonimo principe romano signore di Palestrina; ma non manca chi ha attribuito il libro a Leon Battista Alberti, a Pico della Mirandola, a Lorenzo de Medici o allo stesso Manuzio. È dubbio anche a chi fosse rivolta l’opera: nelle prime pagine è impressa la dedica di un certo Leonardo Grassi di Verona, probabile committente, che la indirizza a Guidobaldo da Montefeltro, urbinate, figlio di Federico. Difficilissimo, ai limiti della comprensibilità, anche il testo, scritto in una lingua ostica completamente inventata mischiando italiano e latino, parole coniate da radici greche e in genere classiche con termini ebraici e arabi, e persino geroglifici egizi (che peraltro sono risultati non autentici).

Hypnerotomachia Poliphilii è corredato da molte illustrazioni

Hypnerotomachia Poliphilii è corredato da molte illustrazioni xilografiche 

Il volume si presenta come un romanzo allegorico di tipo cavalleresco, genere piuttosto in voga tra le classi aristocratiche del Rinascimento, e narra di un sogno fatto dal protagonista Polifilo (“amante di molte cose”) alla ricerca della donna amata, Polia (“tante cose”, appunto). La trama è quella di un viaggio iniziatico, una sorta di metafora della trasformazione interiore del protagonista che tende all’amore platonico. Jung considerava l’opera un’anticipazione della sua teoria degli archetipi. Polifilo, abbandonato dalla sua Polia, si mette sulle tracce dell’amata; durante la ricerca finisce per perdersi in una foresta dove incontra lupi, draghi e misteriose fanciulle e si imbatte in stupefacenti e strani edifici. Stravolto, si riaddormenta e fa un secondo sogno all’interno del primo, durante il quale alcune ninfe lo conducono dalla loro regina e gli chiedono di dichiarare pubblicamente il suo amore per Polia. Il nostro eroe obbedisce, al che due ninfe lo accompagnano davanti a una serie di tre porte chiedendogli di sceglierne una: lui opterà per la terza, e proprio lì dietro troverà l’amata. A quel punto la coppia riunita può essere portata al tempio per il fidanzamento, incontrando lungo la strada ben cinque processioni trionfali che ne celebrano l’unione. I due amanti sono quindi imbarcati verso l’isola di Citèra, trasportati da Cupido in persona. Una volta a terra si imbattono in un’altra processione trionfale, ma qui la narrazione di Polifilo si interrompe per lasciare spazio a quella di Polia, che descrive i fatti dal suo punto di vista.

Alla ricerca dell’amante perduta: il punto di vista di Polia

sdsdsddsdssd

L’amore eterno tra Polifilo e la sua Polia (immagini internet)

Quando Polifilo riprende a raccontare Polia lo respinge, rimproverandogli la concupiscenza del suo desiderio, ma Cupido, apparso in sogno, le ordina di tornare subito dall’amato, che nel frattempo è svenuto ai suoi piedi, e di ridestarlo con un bacio. Non appena l’uomo riprende conoscenza Venere si appresta a benedire la coppia, ma proprio mentre Polifilo si accinge ad abbracciare l’amata ecco che Polia si dissolve nell’aria. Il romanzo termina così, con l’amaro risveglio di Polifilo.
La fonte di ispirazione della narrazione è un “classico” della letteratura latina, le Metamorfosi di Apuleio. L’intero sostrato è paganeggiante, come mostrano l’assenza di qualunque richiamo cristiano e le frequenti invocazioni alle divinità dell’antica Roma. Lo schema narrativo non è molto diverso da quello della Divina Commedia e di altre opere precedenti basate sul concetto di un percorso che va dalle tenebre alla luce della conoscenza, ma trova una sua originalità nella destinazione finale del cammino svolto dall’eroe: non una consolazione divina, ma una visione pagana e arcaica (verrebbe da dire arcadica) della natura. Per l’autore l’esistenza non si risolve nel prendersi cura dell’anima per liberarla dai limiti degli umani sensi, ma nell’intraprendere un percorso inverso, in cui i sensi vengono raffinati e potenziati attraverso pratiche dionisiache per accedere al senso di tutto. La trama ricorda altresì, per certi versi, il Doppio sogno di Arthur Schnitzler. Anche in quest’opera, scritta nel 1907, il rito dionisiaco rappresenta l’avvio di un percorso iniziatico di conoscenza di se stessi e di approfondimento della propria esistenza. Solo che all’epoca i viaggi alla ricerca di un senso si muovevano verso un’introspezione psicanalitica che poco aveva a che fare con l’idea di una natura benevola e idilliaca.
Da segnalare, infine, il notevole corredo grafico dell’opera: 169 illustrazioni xilografiche che testimoniano un’incredibile padronanza tecnica del disegno e dell’incisione su legno. Anche in questo caso non sappiamo chi le abbia realizzate: probabilmente Benedetto Bordon, ma qualche critico le ritiene opera nientemeno che di Mantegna, Pinturicchio, Carpaccio o Bellini.

Stampa

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.

*