«Leggi tu, leggo anch'io... leggiamo insieme». I libri che rendono più ricca la nostra vita
In Giappone, uomini senza donne bussano alla casa delle belle addormentate
Proseguiamo a settimane alterne il nostro “viaggio” tra i libri che vale la pena leggere. Questa volta puntiamo lo sguardo sul Paese del Sol Levante, presentando le opere di due autori giapponesi molto conosciuti anche in Occidente: Murakami Haruki con «Uomini senza donne» e Yasunari Kawabata con «La casa delle belle addormentate».
di Francesco Caroli
«A VOLTE perdere una donna significa perderle tutte», è il pensiero di Murakami Haruki, uno dei più conosciuti scrittori giapponesi nel mondo, in uno dei suoi libri più famosi, di qualche anno fa: Uomini senza donne (Einaudi, 2015). Pagine in cui nonostante il loro sorprendente splendore si rende tuttavia evidente come è ancora considerata la donna nella società nipponica: un corollario che deve sostenere l’uomo in tutto e per tutto, confortandolo con la sua bellezza – soprattutto – e la sua devozione.
Dopo aver perso una donna, scrive Murakami Haruki, si entra in un mondo diverso, quello degli uomini senza donne, dove «anche la vibrazione dei suoni è diversa». Tutto sembra differente: il modo di schiarirsi la gola, la velocità di crescita della barba, gli sguardi che gli altri ci lanciano, gli assoli di jazz, il modo con cui si aprono i vagoni della metropolitana. Tutto è diverso! Perché? Come mai? Perché svaniscono «le loro schiene seducenti», le musiche che si amavano, le visioni e i sogni condivisi sul soffitto di una camera.
Da sempre, il Giappone, esercita un indubbio fascino colmo di mistero, non solo da un punto di vista turistico ma anche per la sua letteratura. E tale attrazione è il risultato certo di una società complessa, sfaccettata, dove luci e ombre si rincorrono continuamente. Un modo di vivere e di vedere le cose che gli scrittori nipponici hanno saputo descrivere e raccontare con un indubbio effetto di seduzione verso i lettori occidentali. Nelle loro pagine si coglie tutta quanta la complessità di una società a noi lontana, ma nella quale poi ci ritroviamo senza esserne pienamente consapevoli.
In particolare, Murakami Haruki, fra gli autori di bestsellers nipponici, è tra gli scrittori più illustri della letteratura contemporanea. I suoi libri sono tradotti in cinquanta lingue diverse, vendendo milioni di copie. In Uomini senza donne, una raccolta di sette racconti pubblicata nel 2014, vi è un unico e ben visibile tema conduttore: l’amore, quasi sempre sofferto e non corrisposto, che provano gli uomini nei confronti di donne senza le quali si sentono alla deriva.
Nel racconto che dà il titolo al libro, un uomo riceve nel cuore della notte una telefonata da parte del marito di una donna che ha amato ai tempi della sua giovinezza. Gli viene annunciata con voce asettica il suicidio della donna asserendo, da parte del marito, che era una notizia che sentiva di dargli. Perché quell’uomo gli ha telefonato comunicandogli la morte della moglie? È la domanda che il narratore si pone. Incomincia da quel momento «un viaggio a ritroso nel tempo e negli spazi, ad inseguire dettagli, ricordi e sensazioni di quei momenti vissuti» con Emu (il nome di quel primo amore giovanile) e comunque persi per sempre, perché come scrive Murakami «a volte perdere una donna significa perderle tutte. Così diventiamo uomini senza donne».
Lasciando al lettore il compito di scoprire la magia e l’incanto di questi racconti (Uomini senza donne è l’ultimo dei sette racconti), leggiamo insieme l’excipit, cioè le ultime righe del libro:
Spero che Emu ora ascolti A Summer Place in paradiso – o in un posto del genere. Che una musica immensa e senza barriere la tenga teneramente fra le braccia. Che lì dove si trova non si sentano i Jefferson Airplane (non credo che Dio sia tanto crudele). E mentre si fa cullare dai violini che suonano in pizzicato A Summer Place sarebbe bello che ogni tanto pensasse a me. Ma è chiedere troppo. Prego perché Emu viva felice, tranquilla, insieme a quella musica per ascensore immortale, anche senza di me.
In quanto uno degli uomini senza donne, lo spero dal profondo del cuore. È tutto quello che posso fare. Per il momento.
Pure ne La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata (Mondadori, 1972) vi è il culto della bellezza femminile da parte degli uomini giapponesi. Richiamando peraltro in modo diverso il ruolo che nella società nipponica hanno avuto e hanno le geishe (vere e proprie dame di compagnia che hanno il compito di intrattenere i loro clienti con il canto, la danza, la musica e la conversazione).
Yasunari Kawabata (premio Nobel per la letteratura nel 1968), in La casa delle belle addormentate (anche questo un libro di racconti) narra di un uomo di 77 anni, Eguchi Yoshio, ancora nel pieno del suo vigore sessuale, che si reca su consiglio di un amico in una casa dove anziani clienti senza più desiderio si coricano insieme a delle ragazze vergini, senza peraltro avere il permesso di toccarle. I clienti di questa casa trovano le fanciulle già profondamente addormentate, e passano con loro l’intera notte senza scambiare alcuna parola e senza neppure sfiorarle.
Eguchi si reca più volte in questa casa per incontrare le giovani addormentate, seguendolo – il lettore – in una specie di flusso di coscienza dove rivive con nostalgia i suoi amori passati ed elabora fantasie non solo erotiche nei confronti delle giovani donne che gli dormono accanto. Ma l’ultimo incontro risulta purtroppo fatale, non concludendosi in maniera naturale come tutti gli altri (con il pagamento della “prestazione” alla tenutaria della casa per aver passato la notte con una bella ragazza addormentata, senza che quest’ultima ne avesse conoscenza e coscienza).
Anche per La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata (da segnalare la preziosa edizione Mondadori del 2012 nella particolare versione de “I NumeriPrimi”) ci fa piacere leggere qualche rigo.
Il fragore delle onde contro il litorale, benché lo si udisse più forte, era disteso, e l’eco che lasciava sembrava levarsi dal mare come musica che risuonava nel corpo della ragazza, e al suono del mare si univa il palpito del petto di lei, che proseguiva nel battito del polso. All’interno delle palpebre del vecchio candide farfalle danzavano accompagnandosi a quella musica. Eguchi sollevò il dito dalla vena: ora non toccava più la ragazza in nessun punto. L’odore della bocca, del corpo e dei capelli di lei non era forte.
Il vecchio Eguchi rammentò i giorni di fuga verso Kyoto attraverso la regione di Hokuriku insieme all’amante che aveva avuto il capezzolo tinto di sangue. Che adesso potesse ricordarli con tanta chiarezza dipendeva forse dal calore della giovane ragazza, che si era vagamente trasmesso. Lungo la ferrovia dal Nord a Kyoto c’erano molte piccole gallerie. Ogni volta che si entrava in una di esse, la ragazza, forse perché in lei si destava la paura, avvicinava le ginocchia a Eguchi e gli afferrava la mano. All’uscita da quelle piccole gallerie, l’arcobaleno splendeva su una piccola montagna o su una baia.
Buona lettura con due libri che vale la pena leggere o rileggere per l’incanto che ci procurano e la forza stessa della loro narrazione che comunque procede in entrambi i libri con una scrittura piana e sinuosa.
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