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Intervista a Emanuela Saracino, giovane neuroscienziata: «La mia ricerca continua»
di Mario Castellana
È DAVVERO un piacere colloquiare con Emanuela Saracino, neuroscienziata pugliese (originaria di Martina Franca) all’Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività (ISOF-CNR) di Bologna.
Queste le domande che le abbiamo posto e le sue risposte.
Dove ha compiuto i suoi studi?
«Ho completato i miei primi studi con la maturità a Martina Franca presso il Liceo Tito Livio, indirizzo sperimentale Brocca Linguistico nel 2007. Successivamente mi sono iscritta alla facoltà di Farmacia dell’Università di Bologna e dopo la laurea nel 2013, ho dapprima conseguito un Master in ambito chimico per l’impiego di polimeri nel settore biomedicale istituito dall’Università di Bologna e Modena; successivamente ho fatto un corso internazionale negli Stati Uniti per la conoscenza di skills imprenditoriali nell’ambito scientifico. Per coronare il percorso che stavo facendo dal punto di vista accademico-professionale ho preso un dottorato in Nanoscience for the Medicine and the Environment, sempre presso l’Università di Bologna. Ero alla ricerca di una scuola di dottorato innovativa, che abbracciasse la nuova visione delle scienze e delle tecnologie, nonché della medicina e della chimica, tenendo conto di scale spazio-temporali ancora inesplorate, e questo si è concretizzato in questa nuova scuola di dottorato che nel 2018 è stata istituita nel XXXIV ciclo PhD dell’Alma Mater».
Com’è nata la passione per la ricerca?
«Più che una passione all’inizio è stata un’attitudine. Sono sempre stata propensa allo studio e la vita del ricercatore è fatta di continui studi ed aggiornamenti, lo studio per lo scienziato rappresenta un modo di stimolare le conoscenze, nutrirsi di sapere, creare connessioni tra le proprie idee e quanto già conosciuto per aprirsi sempre a nuove domande. La bellezza della ricerca è proprio “la ricerca dell’inesplorato”, è come aprire una scatola dopo l’altra, senza aspettare di trovare per forza qualcosa dentro. La ricerca diventa una passione quando viene coltivata, ed io ho avuto modo di seminare piccole idee e trasformarle in scoperte potrei dire di discreta importanza. Mi occupo prevalentemente di neuroscienza e materiali avanzati, tecnologie. Ho avuto la possibilità di collaborare in ambienti di ricerca internazionali, multidisciplinari ed estremamente stimolanti. Tuttavia, in 13 anni di esperienza, anno in cui ho iniziato la mia tesi magistrale, ci sono stati tanti momenti in cui avrei potuto cedere. Devo molto al mio professore di tesi, ora grande amico e collega stimatissimo, Prof. M. Caprini, professore di Fisiologia, presso l’Università di Bologna. Fu lui a dirmi che in me “ardeva” il fuoco della ricerca. E’ bello trovare mentori come lui».
In quale campo ha concentrato la sua ricerca?
«La mia ricerca è sempre stata improntata allo studio delle Neuroscienze, in particolare al ruolo fisio-patologico di specifiche cellule del cervello chiamate, astrociti. Durante la mia tesi magistrale e successivamente durante gli anni trascorsi al CNR, prima come assegnista, poi come ricercatrice, ho affrontato studi che riguardassero la caratterizzazione cellulare, molecolare e funzionale di queste cellule. Vale a dire, chi esse sono, come si presentano e che ruolo hanno nel nostro cervello«».
Ci può descrivere alcuni dei risultati ottenuti?
«Cercherò di riassumere brevemente qui alcuni dei risultati, che rappresentano il filo conduttore delle ricerche ad oggi portate avanti. Come anticipato protagonisti indiscussi sono gli astrociti, cellule a forma di stella del nostro cervello. Si tratta delle cellule più numerose del sistema nervoso centrale che si è scoperto ricoprire un ruolo fondamentale nelle patologie ed in tutte le funzioni principali del cervello. Per quanto siamo ancora lontani da definirle responsabili dell’intelligenza umana, è noto che esse regolino numerose attività, come il network neuronale, il coinvolgimento nei meccanismi sonno-veglia. Tuttavia, le scoperte riguardanti gli astrociti sono relativamente recenti, ciò significa che la maggior parte delle tecnologie allo stato dell’arte sono state pensate per studiare i neuroni. Quando pensiamo al cervello tutti noi pensiamo ai neuroni, cellule che non si riproducono e che sappiamo fare i famosi potenziali d’azione e che associamo al concetto di sinapsi. Dal momento che gli astrociti hanno sbaragliato nelle neuroscienze, divenendo cruciali nella comprensione dei meccanismi fisiologici, che nuove sfide sono la ricerca di tecnologie e piattaforme che ci permettano di studiarne in vitro il loro potenziale, come ad esempio target farmacologico. Pertanto, insieme al gruppo di ricerca di cui ho fatto parte per anni e ancora insieme alle recenti collaborazioni internazionali che abbiamo validato nanomateriali e tecnologie all’avanguardia in grado di modulare e comprendere meglio queste cellule, soprattutto potendo ottenere in vitro degli ambienti che riproducano le loro caratteristiche in vivo, così da avere un approccio quantomeno realistico del complesso network che costituisce i tessuti cerebrali».
Quali potranno essere i benefici della sua ricerca?
«Quando parliamo di ricerca di base dobbiamo far attenzione a esprimere i benefici. Spesso e volentieri capita di leggere sui giornali “Scoperta la cura per il cancro”. Purtroppo, il linguaggio scientifico e quello giornalistico hanno un gap importante. Parlare di ricerca di base significa studiare i meccanismi di base, comprenderli e aprire le porte a ricerche applicative che per ragioni scientifiche, burocratiche ecc, necessitano di anni prima di fare il salto sull’uomo. Ci tengo sempre a precisare questo, poiché mi viene chiesto spesso se quello che studio possa avere un’applicazione nell’immediato. Sicuramente la scienza corre veloce, soprattutto perché per noi pubblicare è fondamentale, cioè diffondere le scoperte tra la comunità scientifica di modo che tutti facciamo da apri porta verso le prospettive inesplorate. Tuttavia, la stessa comunità scientifica spesso rappresenta un ostacolo, nel senso che c’è una corsa a chi ci arriva per primo. La nuova prospettiva, infatti ,si muove sempre più verso il concetto di scienza libera ed aperta. Fatta questa premessa, credo che nel piccolo le scoperte che abbiamo finora fatto, come gruppo di ricerca ed in collaborazione abbiano un importante potenziale per lo meno nell’ambito della comprensione di meccanismi che sottendono alle cellule di cui vi ho parlato, quali astrociti. In particolare mettendo insieme più tasselli, siamo ad oggi in grado di poter dare loro una definizione, un aspetto, una caratterizzazione strutturale, molecolare e di espressione di specifiche proteine che sono coinvolte anche in alcune patologie. Questo come un percorso fatto di scalini consentirà a specializzati del settore, ad esempio, di sviluppare terapie che possano essere mirate a targetizzare queste cellule o delle loro proprietà».
Quali sono i suoi interessi negli ultimi tempi?
«Sfruttando le mie conoscenze nell’ambito delle neuroscienze, per interesse personale mi sono focalizzata sull’individuare alcuni meccanismi di patologie come l’epilessia. Un interesse nato poiché questa patologia ha colpito il mio cane, che si chiama non a caso Astro. Nello specifico sono interessata allo studio di cellule staminali che mantengono questa caratteristica nel nostro cervello e studiare approcci basati su materiali nanostrutturati in grado di guidarne il differenziamento, per mezzo di tecnologie innovative. Pertanto questo progetto è in atto, in collaborazione con una prima ricercatrice bravissima che ha rappresentato un altro punto saldo nella mia carriera attuale, anche lei pugliese di origine e con sede presso il CNR di Roma, e la collaborazione con la Johns Hopkins, USA. Oltre a questo altri progetti sono rivolti al potenziale che alcune cellule chiamate fibroblasti che hanno la possibilità di essere riconvertite in neuroni, attraverso diversi approcci che vorremmo studiare. Non per ultimo il mondo del 3D-printing insieme a colleghi storici e giovani con cui condivido studi focalizzati su modelli specifici del dolore neuropatico e modelli di studio di screening farmacologici per tumori. Tutti questi interessi sono chiaramente parte di diversi progetti nazionali, internazionali come PRIN-MUR, PNRR, eccetera eccetera».
Dato che lei ha anche interessi per la divulgazione scientifica, quali motivazioni ne sono alla base?
«Einstein diceva che i bravi scienziati e divulgatori sono coloro i quali siano in grado di spiegare alla propria nonna la scienza. Quando mi sono accorta di avere questa spiccata indole nel 2017 ho aderito ad un progetto internazionale del MUR, il Linguaggio della Ricerca, coordinato dalla Dott.ssa A. Torreggiani, del CNR, ISOF di Bologna. Il nostro compito è portare la scienza nelle scuole, attraverso incontri diretti con i divulgatori. Questo progetto occupa tantissimo tempo, poiché tutti noi cerchiamo di dare il meglio affinché la scienza sia qualcosa di concretamente utile per tutti e soprattutto per avvicinare i giovani a tematiche che sembrano molto complesse. La divulgazione mi è sempre interessata e mettendo insieme la passione della scrittura alle conoscenze scientifiche che mi sono dedicata alla divulgazione scientifica anche scritta. Il motivo alla base di questa scelta è la volontà di diffondere conoscenza in ambiti che altro non possono che migliorare le condizioni della società, sia che parliamo di malattie neurodegenerative che di alimentazione. Un’ altra grande passione. Nello specifico l’alimentazione da un punto di vista fisiologico e chimico rappresenta ancora un grosso buco in Italia. La stragrande maggioranza delle persone non sa come associare gli alimenti per una corretta alimentazione. Essa rappresenta però uno dei cardini di uno stile di vita sano. L’ Italia è poi il paese della dieta mediterranea e non dovremmo peccare di questo. Pertanto usiamo strategie di comunicazione anche in progetti che ci coinvolgono e che riguardano proprio l’incentivare il consumo di vegetali e legumi tra i bambini. Stiamo sperimentando diversi approcci, raccogliendo i dati ed analizzando gli stessi, in collaborazione con l’ Università di Milano, il CNR di Roma e CNR-ISOF di Bologna».
Ad un giovane che voglia intraprendere l’attività di ricerca, cosa consiglierebbe?
«Consiglierei di non demordere mai, cercare il giusto mentore, non voltare le spalle al proprio istinto. Non fermarsi dinnanzi alle delusioni, assorbire la conoscenza dei grandi scienziati che incontrerà nel suo percorso, ammirare la bellezza di come la chimica si incastra alla medicina ed ancora alla fisica e alla scienza dei materiali. Ambire a rendere la propria ricerca, la più grande soddisfazione per sé stessi e per la comunità di cui si desidera far parte. Fidarsi di chi sa ascoltare e vi lascia parlare, chi vi corregge e non vi chiede solo di diventare “esecutori” di esperimenti. Il dottorato è un percorso obbligatorio, fondamentale e complesso, è fatto di sacrifici e poco guadagni, stanchezza e sconfitte. Il giorno in cui sarete proclamati sarà il giorno della rivincita. Io sono diventata ricercatrice prima ancora di avere il titolo, perché ho scelto di fare il dottorato dopo altre specializzazioni in attesa di quello che mi rappresentasse davvero e ne sono ad oggi fiera».
Dato che lei è di Martina Franca, continua ad avere rapporti col territorio della sua città?
«Come tutti i pugliesi, specificherei i martinesi, sono estremamente patriottica! Assolutamente il mio sogno sarebbe quello di poter far qualcosa di estremamente concreto per il nostro territorio. Resto sempre aggiornata sulle novità ed ammiro molto i progressi che ci sono in realtà di eccellenza della nostra regione. Ho avuto modo di collaborare con l’Università di Bari, con grande onore, in qualche ricerca che si è conclusa in più di una pubblicazione insieme. Magari un giorno tornerò giù, vediamo. Per ora ho collaborato con una rivista locale di un bravo giornalista, scrivendo una rubrica su temi di ricerca e medicina. Il prossimo step è portare la divulgazione in ambito di fisiologia e neuroscienza anche nelle scuole di Martina, con il progetto a cui aderisco del Linguaggio della Ricerca.Piccolo spoiler sono in attesa di un risultato riguardante un progetto che coinvolgerà il nostro territorio, in particolare un ingegnere di Martina, con esperienza nell’ambito delle protesi veterinarie, ed un informatico di Taranto. Finger Cross».
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