ALCHIMIA & DINTORNI
Libero arbitrio e sincronicità: il difficile rapporto tra le tesi di Erasmo da Rotterdam e Carl Gustav Jung
Di Erasmo Da Rotterdam e Carl Gustav Jung, mettendo a confronto le loro teorie sul libero arbitrio e sul concetto di sincronicità, si parla questa volta nella rubrica “Alchimia & dintorni”. Uno spazio, questo, per farvi conoscere, attraverso le loro opere, alcuni personaggi che possono essere considerati alchimisti in un senso più ampio. La vera Alchimia, infatti, non mira alla trasformazione del piombo in oro ma alla trasformazione dell’animo umano e al miglioramento di se stessi.
di Aleister
Libero arbitrio e sincronicità. Esaminiamo questi due concetti che sembrano essere in una contrapposizione insanabile attraverso le opere di due grandi del pensiero, Erasmo da Rotterdam e Carl Gustav Jung. Sul libero arbitrio fu scritto da Erasmo nel 1524 in risposta a Lutero che aveva fatto propria la teoria della predestinazione, secondo cui l’uomo non ha alcuna possibilità di scegliere liberamente. Erasmo sostiene, al contrario, che il libero arbitrio non è del tutto venuto meno a seguito del peccato originale e che, se non si riconosce un minimo di libertà all’uomo, la giustizia e la misericordia divina diventano prive di significato. Rifiutare il libero arbitrio significa negare la dignità e il valore dell’uomo, che sono i principi fondanti dell’Umanesimo. Erasmo non crede alla tesi secondo cui la nostra volontà non può nulla e tutto ciò che facciamo discende da una necessità assoluta. Negare l’esistenza del libero arbitrio equivale a sostenere che Dio determina in tutti gli uomini non solo le opere buone ma anche quelle malvagie. Se, quindi, l’uomo non ha titolo per essere considerato l’autore delle sue buone opere, allora non lo si può neanche considerare il responsabile di quelle malvagie. L’uomo, invece, può sempre scegliere tra salvezza o dannzione: la grazia divina è certamente la causa primaria della salvezza, ma la libertà dell’uomo ne è la causa secondaria. La salvezza, dunque, non può che discendere dalla collaborazione tra uomo e Dio.
Il concetto di sincronicità è alla base del pensiero di Jung, che ha dedicato al tema specifico un apposito libro dall’omonimo titolo La sincronicità. Il principio filosofico che sta alla base della nostra concezione della regolarità delle leggi di natura è la causalità. Ma il rapporto tra causa ed effetto ha solo una validità statistica ed esprime soltanto una verità relativa; il legame tra gli eventi, perciò, va spiegato in base al principio della sincronicità, secondo cui nulla accade per caso. A differenza della causalità, la sincronicità si dimostra un fenomeno connesso principalmente con processi che si svolgono nell’inconscio. Per la psiche inconscia spazio e tempo sono concetti relativi, perché la conoscenza si colloca in un continuum spazio-temporale in cui l’inconscio sviluppa e mantiene un legame con la coscienza, dandoci la possibilità di percepire e “conoscere” gli eventi paralleli. Da ricordare che Jung condusse uno studio, insieme al fisico Karl Pauli, dal quale emergeva un’incidenza statisticamente importante di coincidenze significative tra i sogni dei pazienti e gli eventi esterni accaduti nello stesso periodo.
Il complesso rapporto tra due tesi contrapposte
Al di là di questi due autori, il rapporto tra libero arbitrio e principio di sincronicità è un tema complesso che è stato ampiamente dibattuto nel corso dei secoli tra filosofi, scienziati e pensatori. Da un lato, il libero arbitrio ci suggerisce che siamo in grado di compiere scelte autonome, non determinate da fattori esterni: possiamo plasmare il nostro destino e influenzare il corso degli eventi in base alle nostre decisioni e azioni. Dall’altro lato, il principio di sincronicità propone l’idea di una connessione significativa tra eventi apparentemente non correlati, implicando un ordine sottostante alla realtà che trascende la causalità lineare. Come si conciliano queste due idee che sembrano contrastanti? Alcune interpretazioni suggeriscono che la sincronicità non nega il libero arbitrio, ma piuttosto lo integra, offrendo una prospettiva più ampia sulla nostra esistenza. Secondo questa visione le coincidenze significative che sperimentiamo non sono determinate dal fato ma sono, invece, riflessi delle nostre scelte, pensieri ed emozioni; la sincronicità ci aiuterebbe solo a riconoscere la connessione tra il nostro mondo interiore e quello esteriore. In altre parole, la sincronicità potrebbe essere un modo in cui l’universo ci fornisce un feedback e ci indirizza verso il nostro percorso più autentico. Le coincidenze significative, allora, potrebbero aiutarci a prendere decisioni più in linea con i nostri valori e obiettivi. Secondo Jung la sincronicità si verifica quando la mente conscia e quella inconscia si allineano, creando un ponte tra il mondo interiore e quello esteriore. In questo stato di accresciuta consapevolezza possiamo cogliere i modelli significativi negli eventi e riconoscere la nostra connessione con qualcosa di più grande di noi stessi. Tutto questo significa che le nostre scelte non sono isolate, ma che siamo tutti parte di un’unica rete di energia e coscienza, dove eventi apparentemente separati sono, in realtà, collegati in modo significativo. Le nostre azioni, quindi, avrebbero un impatto non solo sulla nostra vita, ma anche su quella degli altri e, più in generale, sul mondo che ci circonda, perché risultano intrecciate con una rete di eventi più ampia. Il che ci conduce a una visione più olistica della realtà e ad una maggiore responsabilità per le nostre azioni.
In conclusione, la sincronicità rimane un fenomeno complesso e poco compreso. Non esiste una spiegazione scientifica definitiva per il suo funzionamento e la sua relazione con il libero arbitrio rimane aperta all’interpretazione. Quel che è certo è che il rapporto tra libero arbitrio e sincronicità ci invita a riflettere sulla natura della realtà, sulla nostra connessione con l’universo e sulle implicazioni delle nostre scelte. È un tema che continuerà ad affascinare e ad essere dibattuto anche in futuro, su cui non sarà mai pronunciata una parola definitiva.
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