SCIENZA STORIA & NOI
I nostri orientamenti sessuali nel processo evolutivo verso un sesso o l’altro
cura di Roberto Macchiarelli
(Paleoantropologo, già professore ordinario al Dipartimento Geoscienze dell’Università di Poitiers e al Muséum di Storia Naturale di Parigi)
MALGRADO LE le mutazioni socio-culturali avvenute nella nostra società negli ultimi decenni, i temi della sessualità rimangono materia delicata. Sembrano essere trascorsi secoli da quando, nel manuale di diagnostica e statistica dei disordini mentali del 1952, la prestigiosa Associazione Americana di Psichiatria etichettava l’omosessualità come una “sociopatia” (disturbo antisociale di personalità), condizione clinica che poteva condurre alla perdita di libertà per imprigionamento. Eppure, nonostante tutto, tra il conscio e l’inconsapevole, tra retaggi, reticenze, cliché e tabù, quando non semplice ignoranza, nell’osservare e commentare l’esteriorità di certi comportamenti “diversi”, un rumore di fondo di quella visione arcaica ed erronea riemerge talvolta ancora nelle battute sarcastiche tra amici al bar, nelle occhiate complici di dileggio sull’autobus, negli scherni tra adolescenti, i più spietati nei confronti di soggetti che non capiscono e che li turbano.
I biologi, gli etologi, gli antropologi, i genetisti che studiano l’origine, l’evoluzione e le variazioni dei comportamenti sessuali utilizzano espressioni come “orientamento sessuale verso individui dello stesso sesso” (che qui abbrevieremo come StessoSO) e “orientamento sessuale verso individui dell’altro sesso” (abbreviato in AltroSO), punti di riferimento tra i quali esistono diverse sfumature, difficili da osservare in natura ma più facilmente analizzabili nelle comunità umane, anche se, evidentemente, entro limiti di ricerca inviolabili.
Tra invertebrati e vertebrati, ad oggi conosciamo almeno 1500 specie StessoSO, numero senz’altro sottostimato. Tra i mammiferi, almeno il 4% delle specie (appartenenti al 50% delle famiglie rappresentanti il 63% degli ordini) mostrano StessoSO. Questo tasso è particolarmente elevato nell’ordine dei primati – quello al quale apparteniamo – dove, senza differenze apprezzabili, nel 10% delle specie maschi e femmine manifestano comunemente – cioè, non di rado – StessoSO al di fuori di contesti artificiali (zoo, parchi faunistici).
L’orientamento sessuale nei primati
Ma se l’orientamento sessuale verso individui dello stesso sesso non genera prole fertile, come postulato dal modello evolutivo della selezione naturale, perché questo “paradosso darwiniano” è così comune? Perché, nelle specie altamente sociali, come appunto i primati, questo adattamento convergente è una delle manifestazioni della variabilità comportamentale, sorgente primaria dell’evoluzione, contribuendo tra l’altro ad abbassare considerevolmente i conflitti intra-gruppo e le aggressioni tra membri dello stesso sesso. Tra le femmine bonobo e le macache del Giappone, per esempio, queste diffuse preferenze facilitano la riconciliazione, la consolazione, e creano solide alleanze strategiche (anche per proteggersi dall’aggressività dei maschi), come avviene anche tra i maschi di un tipo di delfini (Tursiops) e nei bisonti, dove tali comportamenti contribuiscono a stabilizzare e rafforzare le dominanze gerarchiche. In tutte le comunità studiate in natura, specie nei nostri parenti più prossimi – dove sono rappresentate la monogamia, la poliginia, la poliandria, la poligamia e la promiscuità – in funzione del contesto, individui StessoSO possono talvolta comportarsi come AltroSO, e viceversa.
Secondo quanto sappiamo finora, si tratterebbe di orientamenti determinati essenzialmente da dinamiche socio-ambientali – e culturali, nel caso delle comunità umane – o piuttosto espressione di fattori di biologici? Sulla base delle evidenze da migliaia di indagini indipendenti su famiglie umane con individui StessoSO e sugli orientamenti dei gemelli omozigoti di ambo i sessi, la risposta che possiamo dare è univoca: come confermato anche da analisi sperimentali su altri mammiferi (topi, pecore, montoni, etc.), pur se non esclusivo, il segnale biologico (genetico e ormonale) è quello dominante nella variazione normale – cioè, al di là delle anomalie primarie del cariotipo d’interesse clinico (sindromi di Turner [monosomia X], Klinefelter [XXY], Jacobs, [XXX]) – mentre il segnale socio-culturale-ambientale, quando rilevabile, è assai tenue. Insomma, la partita si gioca principalmente nei tempi regolamentari (livello intrauterino), raramente ai supplementari (fase post-natale).
Già dai primi anni ’90 del secolo scorso, è nota l’influenza sull’orientamento sessuale maschile della regione Xq28 del cromosoma X (all’epoca, inopportunamente ed erroneamente indicata dai media come “gene gay”) e di quella 8p12 del cromosoma 8. Tuttavia, da allora è stata evidenziata l’influenza statisticamente significativa sui futuri orientamenti sessuali di un ampio complesso di geni interattivi a penetranza variabile (loci sui cromosomi 1, 4, 7, 9, 11-15), tra gli altri esercitata proprio sul gene SRY che regola lo sviluppo delle gonadi.
Durante la formazione degli organi, in particolare di quelle regioni del cervello che in ambedue i sessi presiedono all’attrazione sessuale istintiva – principalmente le aree INAH3 (dove sono stoccate le informazioni che influenzeranno le preferenze di genere) e BSTc (l’archivio biologico dell’identità di genere) localizzate nella porzione anteriore dell’ipotalamo (zona preottica SDN-POA) – possono entrare in gioco, in modo aleatorio, diversi fattori detti epigenetici, come ad esempio delle modificazioni chimiche a posteriori del genoma (la più importante è la “metilazione” dei cosiddetti siti “citosina-fosfato-guanina”) che, “spegnendo” o “accendendo” dei geni, influenzano la produzione di proteine senza modificare la sequenza del DNA. Attraverso l’azione ormonale durante le prime fasi di formazione ed accrescimento in utero (esposizione a tassi variabili di testosterone), questi cambiamenti tendono a determinare StessoSO nelle figlie, ove trasmessi attraverso l’eredità paterna (“mascolinizzazione” di un individuo con cariotipo XX), o nei figli, se attraverso l’eredità materna (“femminizzazione” di un individuo con cariotipo XY). Talora, durante la formazione dell’embrione, uno dei due cromosomi X della madre può inattivarsi in alcuni gruppi di cellule, con situazioni a mosaico che determinano fluttuazioni ormonali con diretto impatto sul futuro orientamento del nascituro (l’assunzione comune che tutte le cellule di un individuo contengano esattamente lo stesso set di geni è ormai senza fondamento).
Un altro fattore potenziale nell’orientamento sessuale dei maschi è quello del numero eventuale di fratelli nati prima. Il sistema immunitario materno reagisce infatti alla presenza di antigeni maschili (gli H-Y che presiedono alla naturale “mascolinizzazione” cerebrale a partire da un ipotalamo originariamente in un generico stato “femminile”) producendo anticorpi ad hoc il cui accumularsi attraverso gravidanze successive può perturbare in modo crescente l’impatto ormonale sulla formazione degli organi dei nascituri di sesso maschile. La mappatura ad alta risoluzione delle funzioni cerebrali di individui sottoposti a test olfattivi con feromoni mostra chiaramente l’attivazione delle medesime aree in soggetti StessoSO di sesso maschile e AltroSO di sesso femminile, e viceversa.
Pur se grossolano, un indicatore indiretto dell’impatto individuale degli androgeni durante la fase intrauterina è dato dal rapporto tra le lunghezze del dito indice e dell’anulare della mano destra.
Nella larga maggioranza dei casi, comportamenti StessoSO non costituiscono veramente una libera scelta individuale, un modo magari stravagante, diverso di vivere la sessualità – anche se evidentemente possono esserlo secondo i sistemi culturali ed i contesti socio-ambientali di riferimento – quanto piuttosto l’espressione naturale di quello che siamo come esseri viventi, assai complessi ed eterogeni se ci consideriamo dal punto di vista anatomico, ormonale, cellulare, cromosomico, biochimico… e psichico, che talvolta offrono polarità tra loro contrastanti.
Anche se piace, rassicura dicotomizzare, dunque semplificare le complessità in categorie ben distinte, l’espressione degli orientamenti sessuali non è affatto binaria in termini comportamentali – come talvolta riteniamo debba essere – ma, al di là della dicotomia del cariotipo XX-XY, la variabilità offre un ampio spettro di combinazioni e soluzioni, tutte naturali, tutte legittime, tutte degne di esistere e manifestarsi (ma questo, nel bene o nel male, lo determinano nel tempo i sistemi sociali ed i modelli ideologico-culturali propri alle variegate comunità umane). In sostanza, quello che abbiamo imparato è che, in natura, l’identità non è binaria, ma plurima.
Studiando i polpi (cefalopodi), solo di recente abbiamo scoperto che il loro cromosoma sessuale, finora in assoluto il più antico, ha una storia di quasi 500 milioni di anni! Non si tratta di uno dei due cromosomi X ed Y dei mammiferi, bensì del cromosoma Z, presente in due copie nei maschi, ma singolo nelle femmine (gli uccelli e le farfalle presentano poi altri tipi di cromosomi sessuali: il W e lo Z). Ma anche qui, come abbiamo visto, la dicotomia è solo apparente. In ogni caso, se da quando usiamo i computers abbiamo avuto modo di constatare l’esistenza tra il bianco ed il nero di ben 256 livelli di grigio, non dovremmo essere poi troppo sorpresi delle tante opzioni e sfaccettature offerte dalla natura, anche in materia sessuale. D’altro canto, per fortuna, non ci si innamora di un organo, di un cariotipo… ma di una persona.
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