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ALCHIMIA & DINTORNI

Nelle mani di Cagliostro, medico e profeta

Esperimento di magia condotto da Cagliostro (litografia - fonte internet)

Esperimento di magia condotto da Cagliostro (litografia – fonte internet)

di Aleister

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Giuseppe Balsamo detto “Cagliostro” (immagine web)

CAGLIOSTRO, IL cui vero nome era Giuseppe Balsamo (in realtà fu battezzato con sei nomi), nacque a Palermo nel 1743 da una rispettabile famiglia di commercianti. A quindici anni prese l’abito dei confratelli della carità, ma ben presto abbandonò il convento di Caltagirone per tornare a Palermo, dove si dedicò allo studio del disegno e si diede alla vita scapestrata. Fuggì poi a Roma, dove conobbe e sposò Lorenza Feliciani, bella e maliziosa figlia di un fonditore, ed esercitò anche l’arte del falsario. Seguirono altre fughe in varie città d’Italia e d’Europa. Fu a Napoli col nome di marchese Pellegrino; poi assunse a Londra il pomposo nome di conte Alessandro di Cagliostro. Pare che abbia assunto tale titolo all’età di venticinque anni nella cappella di San Giovanni a Malta, dove si vide conferire il triplice cavalierato templare, maltese e rosacrociano, tre ordini che secondo René Guénon tracciano una stessa catena iniziatica.
Secondo alcune ricerche, invece, il palermitano Giuseppe Balsamo è persona diversa dal conte Alessandro di Cagliostro, di origine portoghese, che pare abbia inventato il motto Libertà, Uguaglianza, Fratellanza, divenuto poi il simbolo della rivoluzione francese. La confusione tra i due personaggi fu voluta dai nemici di Cagliostro, in primis l’Inquisizione, che pagò Balsamo e la moglie per recitare il ruolo di Cagliostro, presentandolo come un impostore truffaldino e screditandolo, così, agli occhi del popolo.
Conquistatasi a Londra fama di chimico, medico, mago e profeta, si iscrisse ad una loggia massonica e tornò poi sul continente. Andò in Russia, fu espulso e accolto trionfalmente a Varsavia e a Strasburgo, sbalordendo tutti con la trasformazione di metalli vili in oro e con miracolose guarigioni (tutte false, secondo i suoi detrattori). Stabilitosi, quindi, a Parigi, inventò il rito della massoneria egiziana; nel frattempo la bella Lorenza, che aveva assunto il nome di Serafina, affascinava i parigini passando, col consenso del marito, da un amante all’altro. Ma il famoso processo della collana fu per lui il principio della fine. Vale la pena di ricordarlo. Il gioielliere di corte Boehmer aveva realizzato una elaboratissima collana di diamanti, del valore di circa 500 kg d’oro, ma Maria Antonietta ne rifiutò l’acquisto. A questo punto due avventurieri, il conte e la contessa De la Motte, organizzarono una truffa ai danni del cardinale de Rohan, amico di Cagliostro, facendogli credere che in realtà Maria Antonietta desiderasse acquistare la collana. Il cardinale si sentiva in debito verso la regina perché aveva in precedenza offeso Maria Teresa d’Austria, sua madre. Si convinse, allora, che tramite la collana avrebbe potuto riconquistare l’amicizia di Maria Antonietta e si fece garante presso il gioielliere per conto della regina. La collana finì nelle mani del conte De la Motte, che cercò di venderla, smembrata, in Inghilterra, ma la truffa fu scoperta e i colpevoli arrestati: allora la contessa De la Motte accusò Cagliostro di essere l’ideatore del raggiro. Cagliostro fu rinchiuso con la moglie nella Bastiglia. Riuscì a provare la sua innocenza e fu rimesso in libertà, ma gli fu imposto di lasciare Parigi. Tornò, allora, a Londra, ma anche da lì dovette scappare, dato che un giornalista ne rivelò gli scandali e i trascorsi non proprio puliti. Ricominciarono, così, fughe e peregrinazioni con una sosta a Trento, dove entrò nelle grazie del principe vescovo Pier Virgilio Thun, cui fece credere d’essersi convertito e da cui ottenne un salvacondotto e alcune raccomandazioni presso dei cardinali di Roma. Non trovando clienti come medico, tentò anche qui di fondare una loggia di rito egiziano, ma venne arrestato e chiuso a Castel Sant’Angelo. Lorenza, per alleggerire la sua posizione, denunciò il marito presso l’Inquisizione, che lo condannò alla pena di morte in quanto eretico. Ma il Papa, dopo l’abiura, commutò la pena in carcere perpetuo, così Cagliostro, pochi giorni dopo, venne condotto nella fortezza di San Leo dove fu rinchiuso nel Pozzetto, una cella di tre metri per tre da cui si accedeva solo da un buco nel soffitto attraverso cui gli veniva calato il cibo. Morì nel 1795, rifiutando i sacramenti. Insomma, una vita decisamente movimentata, la sua.
Chi era in realtà Cagliostro? Secondo i suoi detrattori un ciarlatano e un impostore. Lui dice di sé nelle sue Memorie: “Io non sono di nessuna epoca e di nessun luogo: al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere spirituale vive la sua eterna esistenza.” Fu indubbiamente un personaggio scomodo, un uomo misterioso cui faceva difetto la modestia e forse anche l’onestà, ma dotato di grande intelligenza. Travalicò gli schemi della normalità, osando mettere in discussione le regole del sociale e della morale dominante, attirandosi l’odio e lo scetticismo di chi comandava e pagando, così, a caro prezzo la propria diversità. Pur vivendo nel “Secolo dei lumi” mise in evidenza il lato oscuro e le contraddizioni di un’epoca in cui convivevano il razionalismo dei filosofi e l’occultismo degli illuminati.
Cagliostro fondò la massoneria di rito egiziano, che aveva l’obiettivo ambizioso di unificare le varie logge massoniche e far convergere i fratelli in una via unica, esoterica ed iniziatica, imprimendo una svolta radicale nella coscienza massonica, andando a sostituire gli anacronistici strumenti di cui le logge disponevano con una nuova e più aperta ricerca esoterica. Il tema egiziano è assai importante, in quanto si contrappone al tema biblico che vuole la nascita della storia e della religione con la consegna delle Leggi a Mosé, tacciando perciò di presunzione coloro che vogliono gli egiziani conoscitori della scienza degli astri da più di diecimila anni. La massoneria costituì un punto di congiunzione importante fra l’ermetismo magico e filoegiziano di derivazione neoplatonica del Rinascimento con la tradizione cristiana. Infatti, nel pavimento a mosaico del duomo di Siena, che risale agli ultimi decenni del ‘400, troviamo il mitico Ermete Trismegisto e alla sua destra, in atteggiamento deferente, un uomo che probabilmente è Mosé; a simbolo di una avvenuta conciliazione fra le due tradizioni.
L’alchimia di Cagliostro è collegata alla tradizione dell’ermetismo e della magia, perché il mago e l’alchimista tentano di trasformare e manipolare la natura, il che si configura molto spesso come un’impresa empia che tende a violare un ordine naturale voluto da Dio. Essa subì nel corso del tempo delle evoluzioni. Cagliostro all’inizio praticava una medicina popolare, fatta di tecniche di tintura e di trattamento dei metalli. Ancora nell’anonimato girovagava per l’Italia con i suoi alambicchi, usando l’alchimia come espediente. Una svolta nella sua vita la ebbe quando incontrò il monaco benedettino Antoine Pernety. Questi, lasciato l’ordine monastico, divenne bibliotecario e membro dell’Accademia reale di Berlino. Ebbe, così, occasione di frequentare gli illuminati e, aderendo alle loro teorie, fondò un proprio rito massonico. Dalla frequentazione con Pernety, Cagliostro probabilmente comprese che gli scopi dell’Arte sacra erano ben altri dal commerciare elisir di lunga vita. Infatti l’ex monaco considerava l’alchimia una pratica ermeneutica, in cui la meta è solo il pretesto per il percorso iniziatico. Non interessano gli alambicchi e gli esperimenti da laboratorio, ma la ricerca come elemento fondamentale per la propria realizzazione.
L’alchimia è simbolo, quindi, della ricerca di un sapere antico, che ha come riferimento quello dei sacerdoti egizi. Il tempio massonico diventa, perciò, il corrispettivo dei templi dedicati a Thoth, l’Ermete Trismegisto dei Greci, dove si tramandava l’arte della morte e della rinascita. L’alchimista incarna, in questo modo, il custode della conoscenza, colui che non ha bisogno di nulla perché possiede tutto.

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