ILNUOVOPAESE.IT del 7/13 novembre 2024, Numero 45 (Anno XIV) - IN COPERTINA
Nuovo Paese? Il racconto di Raquel Lozano sull’alluvione che ha colpito la Spagna
di Valeria Meli
DANA, TERMINE che negli ultimi giorni è divenuto familiare a seguito della distruzione provocata a Valencia, è in realtà il termine scientifico (Depresion Aislada en Niveles Altos) con cui si indica un fenomeno meteo estremo.
Un blocco di aria fredda che si trova in alta quota si stacca da una più vasta depressione atlantica o nordeuropea per poi evolvere in un vero e proprio ciclone. Goccia fredda è infatti un altro nome con cui comunemente è chiamato il fenomeno. Si è trattato di un vero e proprio ciclone mediterraneo di incredibile potenza che si è alimentato dell’energia sprigionata dai mari ancora troppo caldi a causa del prolungato periodo di temperature sopra la media.
Dopo avere colpito con inaudita violenza Valencia, dove in sole otto ore sono caduti fino a 600 mm di pioggia causando la distruzione che le immagini televisive ci hanno raccontato, DANA si è spostato a Barcellona. Qui però, a differenza di Valencia, grazie all’allerta meteo diramata tempestivamente, si è scongiurato il peggio.
Vi raccontiamo l’alluvione attraverso la testimonianza di Raquel Lozano che ha vissuto i minuti concitati in cui si è verificata l’alluvione di Barcellona.
Raquel, innanzitutto grazie per aver accettato l’invito a raccontarci quanto è accaduto in Spagna. In quattro ore nei dintorni di Barcellona è caduta la quantità d’acqua di tre mesi. Ci racconti cosa è successo in quelle ore?
«Noi abitiamo in un paese molto vicino alla città che si chiama Gavà e che si trova a dieci minuti di macchina da Barcellona; ed è lì, tra Gavà, Castelldefels, Viladecans e l’aeroporto El Prat, che ci sono stati gli allagamenti più importanti rispetto alla città di Barcellona. Alle 7:45 del mattino mi sono svegliata per portare le mie figlie a scuola perché le scuole erano aperte. In quel momento stava piovigginando. Il tempo di tornare a casa per prepararsi per andare al lavoro che nel cellulare è comparsa l’allerta rossa che diceva di rimanere nelle case perché arrivava la DANA. Il preside ha fatto subito telefonare dalla scuola perché i genitori tornassero a riprendere i figli. Sono quindi andata velocemente a riprendere le mie figlie e, non appena tornata a casa (erano solamente le nove), era già quasi tutto allagato e l’acqua ci arrivava già all’altezza delle ginocchia. E siamo rimaste a casa. Mio marito invece è andato a lavorare perché era partito presto ma, per fortuna, il paese in cui lavorava, Sant Boi, non si è allagato. Purtroppo non è potuto rientrare a casa perché la c32, che è la strada che porta a Barcellona, era completamente allagata con tante autovetture rimaste bloccate con l’acqua fino al finestrino. Alla fine lui è riuscito a ritornare a Barcellona la sera, quando l’acqua è calata. Per fortuna qui a Barcellona rispetto a Valencia l’allerta è stata data in tempo. A Valencia invece l’allerta è stata data tardi, perché il comune e l’autorità del ministero non si sono messi d’accordo, sono stati veramente disorganizzati. Non pensavano che arrivasse una catastrofe del genere e l’allerta è partita veramente troppo tardi».
Quali aree della città di Barcellona sono state maggiormente interessate dai disagi?
«La città di Barcellona si è un po’ allagata ma non tanto rispetto ai paesini dei dintorni. Gavà, Castelldefels, Viladecans sono stati i paesi più colpiti. Inoltre l’aeroporto di El Prat ha subìto dei danni pazzeschi, non solo per via delle piste completamente allagate ma anche per disastri all’interno dell’aeroporto dove si sono spaccati alcuni tetti e si sono verificate scene di panico. Ovviamente c’è stata la cancellazione di tantissimi voli».
Qual è adesso la situazione a Barcellona?
«La situazione è già tornata in ordine il giorno successivo perché l’acqua è riuscita ad andare via velocemente dai paesi. Il giorno dopo le scuole hanno riaperto, e tutti siamo tornati al lavoro».
Più di duecento morti, quasi duemila dispersi, quali sensazioni si provano nel pensare a quanto accaduto a Valencia?
«Sono veramente numeri terribili. Penso ai morti ma anche ai dispersi che chissà dove sono andati a finire. Adesso stanno ritrovando tante persone vicino al mare perché i fiumi li hanno trasportati lì. Oggi il mare ridava indietro alcuni corpi senza vestiti, nudi, irriconoscibili. Si sta lavorando con il DNA per poter restituire i corpi alle famiglie. La sensazione è di rabbia. Siamo tutti arrabbiati perché questa catastrofe poteva essere evitata. Bastava ricevere l’allarme prima perché l’allerta è arrivata alle 20 di sera ma l’alluvione era iniziata alle 16-16,30 e in pochi minuti l’acqua è arrivata a due metri e mezzo di altezza. In pratica già due ore prima che arrivasse l’allerta tante persone avevano già visto morti che galleggiavano affogati».
Dopo l’alluvione ci sono state numerose polemiche. Quale è la tua personale percezione in merito agli interventi di aiuto alla popolazione?
«Gli aiuti sono stati scarsissimi e lentissimi soprattutto nei primi tre giorni. Le istituzioni sono state del tutto assenti. I primi ad arrivare sono stati i cittadini della città delle aree di Valencia che non avevano subito danni che sono arrivati a piedi portando l’acqua perché le persone nelle aree colpite dall’alluvione non hanno avuto da bere e da mangiare e energia elettrica per tre giorni. Dopo il terzo giorno sono arrivati la protezione civile e i pompieri. Sono stati tre giorni da incubo. C’erano persone che hanno dichiarato di aver sofferto la fame e la sete per tre giorni. Pensate ai bambini e ai neonati senza latte».
Per il futuro, quali strategie sarà necessario attuare per evitare catastrofi di questo tipo?
«Per evitare catastrofi del genere bisogna pensare un po’ meno al lavoro e di più alle persone che da un minuto all’altro potrebbero essere in pericolo. Se un giorno le persone non vanno a lavorare e i bambini non vanno a scuola in via precauzionale non succede nulla ma non si perdono vite. Oggi si pensa che se un giorno non si va a scuola o a lavorare è la fine del mondo. Come si fa a non lavorare? A non fatturare? Si può e si deve fare. Non si possono perdere tutte queste vite per un’alluvione. Inoltre il protocollo di allerta rossa dovrebbe essere più veloce, sicuro, organizzato bene. Non dovrebbero esserci tutti questi intermediari. Ad esempio nel caso di Valencia il comune non sapeva se dare l’allarme perché aspettava una risposta dallo Stato. Lo Stato che non si muoveva dà le colpe al comune. Deve esserci un protocollo più chiaro per tutti in questi momenti di emergenza».
E, a margine di questo toccante racconto, anche noi, insieme a Raquel, ci associamo a questo invito. Non dobbiamo permetterci di farci trovare impreparati di fronte ad eventi climatici sempre più estremi che sappiamo già che in futuro saranno sempre più frequenti.
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