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ILNUOVOPAESE.IT del 4/10 luglio 2024, Numero 27 (Anno XIV) - IN COPERTINA

«Parliamo un po’ dell’uomo, della Terra, del passato e del nostro divenire»

Lucy's Legacy

Il possibile aspetto di Lucy, così come è stato ricostruito dal ritrovamento di alcune ossa del suo scheletro (immagine web)

 

di Francesco Caroli

Roberto Macchiarelli

Roberto Macchiarelli

DALLA PROSSIMA settimana «Il Nuovo Paese» darà il via a una nuova e importantissima rubrica di Paleoantropologia che avrà come titolo «Scienza, Storia & Noi», a cura del professor Roberto Macchiarelli.
In questo spazio settimanale il professor Macchiarelli parlerà soprattutto dell’uomo e della sua evoluzione sul pianeta Terra, così come si è potuta articolare nel corso di milioni e milioni di anni, che hanno visto come protagonisti i nostri antenati. Ma non si parlerà solo del passato, lo sguardo si proietterà anche sul nostro immediato presente e sul nostro prossimo e più lontano futuro.
Roberto Macchiarelli, già docente ordinario al Dipartimento Geoscienze dell’Univiversità di Poitiers e al Dipartimento Uomo & Ambiente del Museo nazionale di Storia naturale di Parigi, è un paleoantropologo interessato alla ricostruzione dei processi evolutivi della famiglia degli ominidi e del genere Homo attraverso l’analisi dei resti fossili. Membro eletto del Comitato nazionale Hommes et Milieux: Evolution, Interactions del CNRS, prima di trasferirsi in Francia è stato bioantropologo presso il Laboratorio di Paleobiologia della Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo e la Sezione di Antropologia del Museo nazionale Preistorico ed Etnografico “L. Pigorini” di Roma. Ha insegnato come docente a contratto presso le università di Padova e di Vienna. Autore di oltre trecento pubblicazioni scientifiche, ha condotto ricerche in Yemen, Sultanato di Oman, Eritrea, Etiopia, Kenya, Sudafrica, Myanmar, Pakistan, Iran, Terra del Fuoco e assicurato il ruolo di editore associato per diverse riviste internazionali (PLoS ONE, CR Palevol, Human Biology, Anthropological Science). Nel 2011 ha ricevuto dall’Accademia dei Lincei il premio “F. Frassetto per l’Antropologia”. Nel 2019 e nel 2020 è stato invitato come revisore dell’attività di ricerca pubblicata dall’équipe del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Leipzig diretta da S. Pääbo, premio Nobel per la medicina nel 2022.
Al professor Roberto Macchiarelli abbiamo rivolto alcune domande, come anteprima all’avvio della sua rubrica.

Di cosa si parlerá ai nostri lettori?

«Delle tematiche che riguardano la storia del nostro pianeta, delll’evoluzione della Vita, degli scenari del nostro passato, del nostro divenire. Tutti temi questi che non sono soltanto mere curiosità, talvolta appassionanti, ma possono rappresentare degli elementi di conoscenza che ci rendono più consapevoli delle nostre capacità e dei nostri limiti, del significato e valore delle nostre diversità, che ci responsabilizzano di fronte alle sfide sociali in un mondo i cui ecosistemi sono in rapida trasformazione».

Lucy, così come è stata ricostruita nel suo scheletro

Lucy, così come è stata ricomposta nel suo scheletro

Dalla scoperta nel 1974 in un deserto africano di Lucy, il primo ominide di cui si ha conoscenza, vissuto circa tre milioni e mezzo di anni fa, quali passi in avanti ha fatto la paleoantropologia?

«Se la scoperta del primo scheletro quasi completo di un australopiteco dell’Afar, Lucy, appunto, ha acceso una piccola luce in uno spazio fino ad allora semibuio, abbiamo rapidamente realizzato quanto voluminoso e complesso sia questo spazio e quanto grande sia la nostra ignoranza. Le scoperte in Africa di reperti fossili d’interesse paleoantropologico sono però cominciate molti anni prima, nel 1925. La paleobiodiversità dei nostri antenati e predecessori, che stiamo progressivamente svelando, è semplicemente impressionante, anche se oggi di tutti i protagonisti di questa lunga avventura ne resta solo uno: Noi. Nella ricerca scientifica succede che alcune scoperte diano un impulso eccezionale allo sviluppo di una disciplina: quella di Lucy ne è un esempio paradigmatico. In paleoantropologia non si tratta più di inciampare per caso in un fossile più o meno importante, come nel passato, ma di programmare con attenzione tutte le tappe della ricerca – dal terreno al laboratorio – per rispondere a delle questioni precise e per testare delle ipotesi, dunque per produrre conoscenza. Ormai pochissimo è lasciato al caso».

A quanto pare il salto nell’evoluzione dagli antropiteci all’Homo sapiens è potuto avvenire dal passaggio della deambulazione a quattro zampe alla posizione eretta. Come si è potuto verificare questo importante passaggio?

«Quello della bipedia come forma abituale – anche se non necessariamente obbligatoria – di locomozione è un adattamento antico, precedente addirittura alla comparsa dei primi australopiteci. I primi reperti fossili che testimoniano questo comportamento sono vecchi di almeno sei milioni d’anni. Ma tra i rappresentanti del cosiddetto “ramo ominino” – quello al quale apparteniamo insieme a tutti gli altri membri ormai estinti più prossimi a noi umani che allo scimpanzè ed ai suoi antenati – la bipedia si è espressa in forme piuttosto diverse ed è stata spesso accompagnata dalla capacità di arrampicamento. Il vantaggio più immediato: l’aver liberato le mani, con conseguenze fondamentali sulle capacità cerebrali. Svantaggi? Molti: aver complicato tremendamente il parto, causare il mal di schiena, aver riposizionato gli organi interni…».

Quali altri elementi hanno inciso nell’accelerazione evolutiva?

«Le variazioni dell’ambiente risultato di variazioni climatiche e, come sempre, il caso. Immaginiamo spesso, e a torto, che gli organismi viventi si “auto-regolino”, tendano in qualche modo a migliorarsi, ad evolvere, appunto, ma avulsi dai contesti. Ma se nel linguaggio comune “evolvere” significa effettivamente progredire, in natura significa piuttosto adattarsi a nuove circostanze, rispondere alle sollecitazioni ambientali, una sorta di filtro passivo della diversità e della variabilità al suo interno. È sulla diversità e sulla variabilità che giocano gli adattamenti, dunque l’evoluzione. Nel rapporto vantaggi/svantaggi selettivi, l’aver ridotto le performances legate alla quadrupedia – terrestre e/o arboricola – per liberare le mani dalla locomozione in ambienti progressivamente più aperti in relazione ad una fase di raffreddamento del pianeta si è rivelata una “scelta” vincente».

L’Africa è stata la culla che ha dato i natali ai nostri primi antenati. Come si sono potuti diffondere in tutto il resto del mondo?

«Al meglio delle nostre attuali conoscenze, l’Uomo è l’unico membro del “ramo ominino” ad aver fatto capolino al di fuori della “culla africana”, anche se la presenza temporanea di qualche ominino non umano (come qualche forma di parantropo o di australopiteco) nelle regioni del vicino Oriente e dell’Arabia, da considerarsi comunque improbabile, non può essere esclusa con certezza, almeno secondo criteri ecologici. Quello della storia del popolamento umano dei continenti è un racconto straordinario, quasi inverosimile, di cui mi piacerebbe appunto raccontare qualche episodio proprio in questa rubrica: ne rimarrete sorpresi!»

L’intelligenza artificiale muterà probabilmente gli stili di vita degli Uomini. Come cambierà se cambierà da un punto di vista antropologico la natura stessa dell’Uomo?

«L’impatto dell’IA sull’evoluzione umana non è al momento prevedibile, certamente non quantificabile, non sul breve termine. Nonostante gli evidenti rischi legati agli abusi, l’IA potrà apportare molto alla diagnostica clinica, per esempio, e potenzialmente migliorare le nostre condizioni di vita. Una vera rivoluzione nella storia recente dell’umanità è certamente quella dell’impatto degli antibiotici, e ovviamente di altre terapie sviluppate contro diversi patogeni a scala continentale. L’attuale demografia delle popolazioni umane ne è un’evidenza».

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1 Commento su «Parliamo un po’ dell’uomo, della Terra, del passato e del nostro divenire»

  1. Giuseppe Caroli // 8 luglio 2024 a 12:46 // Rispondi

    Molto avvincente.

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