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Per non dimenticare le pagine di storia più nere del nostro Paese

Quarantadue anni dalla strage di Via Carini: le trenta pallottole che uccisero la verità

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Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa con Emanuela Setti Carraro (foto internet)

di Oreste Roberto Lanza

QUALCUNO TEMPO fa ebbe a dire: «Chi ha memoria scagli la prima pietra». Personalmente, lo faccio con piacere perché è il cuore che lo comanda. Come si suol dire: «Al cuore non si può dire di no». Era il 3 settembre 1982. Per molti questa è una data come tante altre; i curiosi, per evitare brutte figure, con una veloce ricerca sui social, accerteranno che in quel giorno ricorre il quarantaduesimo anniversario di una strage in cui morirono il prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. Via Isidoro Carini è il luogo in cui una vecchia Autobianchi A112 beige venne presa di mira da una BMW Serie 5, guidata da calogero Ganci con a fianco Antonino Madonia.

La dinamica dell’agguato

Carlo Alberto dalla Chiesa

Carlo Alberto Dalla Chiesa

Raggiunta la A112, lo stesso Madonia fece fuoco contro il parabrezza con un AK-47. Dalla Chiesa e la moglie rimasero fulminati da trenta pallottole. L’auto del prefetto sbandò, andando a sbattere contro il bagagliaio di una Fiat Ritmo parcheggiata. Una seconda vettura, con a bordo Francesco Paolo Anzelmo e Giusepppe Giacomo Gambino, seguiva l’auto del prefetto, pronta a intervenire per bloccare l’eventuale reazione dell’agente di scorta, che non ci fu. Pino Greco scese dalla motocicletta e, girando attorno alla A112 crivellata dagli spari, controllò se l’esito dell’agguato fosse stato mortale. Prima una Honda di grossa cilindrata, guidata da Giuseppe Lucchese con Giuseppe Greco (detto “Scarpuzzedda”), dopo che aveva affiancato l’Alfetta di Russo, lo colpì mortalmente sempre con un fucile d’assalto AK-47. Subito dopo l’auto e la motocicletta, servite per il delitto, vennero portate in un luogo isolato e lì date alle fiamme mentre gli assassini vennero prelevati e portati via da altre tre auto, guidate rispettivamente dai boss Raffaele Ganci (padre di Calogero), Gaetano Carollo e Vincenzo Galatolo. Erano le 21:15 di una tranquilla sera dove il prefetto e la moglie stavano andando a cena in un ristorante di Mondello. Questi fatti qui in oggetto sono emersi dai vari processi ben conservati nel cassetto della  memoria, per chi continua a possederla. Forse  pochi ricordano  che l’Autobianchi A112 è conservata nel museo storico di Voghera. Tale annotazione per chi è solito sfogliare le pagine della nostra storia più attuale e ogni tanto fa anche un salto nei musei. La memoria è un mezzo che permette di continuare a pensare su tante circostanze della nostra vita, aiuta a riflettere; insomma è il tesoro dell’anima. A volte si trasforma in un’opportunità per raccontare e tentare di migliorare l’intera società, cercando di dare una direzione giusta al quotidiano. Raccontare più volte  come è andata davvero, probabilmente  avvicinerà ognuno di noi  alla versione giusta. Del resto, è stato dimostrato che i grandi bugiardi hanno una memoria rispettabile, mentre per chi cerca la verità la memoria diventa purtroppo un vaccino prezioso contro finanche l’indifferenza. Oggi vale la pena ricordare, fermandosi a pensare alla circostanza dei funerali nella chiesa palermitana di San Domenico dove una grande folla protestò contro le presenze politiche. Solo l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, venne risparmiato dal lancio delle monetine e dagli insulti. La figlia di Dalla Chiesa, Rita, pretese che fossero tolte immediatamente le corone di fiori inviate dalla Regione siciliana e volle che sul feretro fossero deposti il tricolore, la sciabola, e il berretto della divisa paterna di Generale della Repubblica italiana con le relative insegne. E poi sono certo da rammentare le parole del cardinale Salvatore Pappalardo, nella sua omelia: « Mentre a Roma si pensa sul da farsi, la città di sagunto viene espugnata dai nemici, e questa volta non è Sagunto, ma Palermo. Povera la nostra Palermo». Un cartello  comparve in via Carini, il giorno dopo l’assassinio, posto da una mano anonima. Su quel cartello c’era scritto: «Qui è morta la speranza dei palermitani onesti». Pare che ancora sia così. Del resto continuiamo ad essere un popolo di poeti, navigatori…

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