ALCHIMIA & DINTORNI
Quella quasi vana ricerca della pietra filosofale di Bernardo Trevisano
Si parla di Bernardo Trevisano e della sua caparbia ricerca della pietra filosofale questa settimana in “Alchimia & dintorni”. Nonostante il suo approccio non sistemico lo si può considerare tra la nutrita schiera di alchimisti, in un senso più ampio. La vera Alchimia, infatti, non mira alla trasformazione del piombo in oro ma alla trasformazione dell’animo umano e al miglioramento di se stessi. E in tal senso Bernardo Trevisano fu un maestro.
di Aleister
DI BERNARDO Trevisano non si hanno notizie biografiche precise: nacque presumibilmente a Padova nel 1406 da padre medico e morì probabilmente nel 1490 (ma secondo alcuni si tratterebbe soltanto di uno pseudonimo dietro cui si celerebbero vari alchimisti). A lui è attribuito un trattato alchemico risalente (forse) alla fine del Quattrocento e pubblicato in volgarizzamento francese nel 1567 con il titolo di Libro del venerabile Dottore Tedesco Signor Bernardo Conte della Marca Trevigiana sulla filosofia naturale dei metalli. Nonostante le incertezze che permangono attorno alla figura storica di Trevisano, la sua opera ha conosciuto notevole fortuna. La sua fama è, peraltro, legata alla produzione apocrifa di altri cinque testi che annovera, oltre all’Epistola sull’Uovo filosofico, il Sogno verde. Quest’opera, forse la sua più famosa, narra, appunto, di un sogno, fatto dal Trevisano, pieno di simbolismi e riferimenti allegorici e rappresenta l’ideale prosecuzione e complemento del Libro sulla filosofia naturale dei metalli; l’aggettivo verde è dovuto al fatto che la Pietra filosofale del Trevisano è vegetale in quanto nasce dal germe della vite.
Trevisano, innamoratosi dell’alchimia, studiò le opere degli arabi Geber e Rasis, nomi assai famosi alla sua epoca, e spese ben tremila scudi delle sue sostanze per condurre esperimenti sulla conversione dei metalli che, però, non condussero a risultati apprezzabili. Allora si rivolse ai maestri Archelao e Rupescissa ma, dopo quindici anni di continue prove (e dopo aver speso altre parecchie migliaia di scudi) non riuscì ancora ad ottenere la Pietra filosofale. A quel punto un chierico suo compaesano gli disse che maestro Errico, confessore dell’Imperatore, conosceva il secreto dei secreti (secretum secretorum) e possedeva la pienezza assoluta del magistero. Trevisano, allora, andò in Germania a trovare questo gran dottore della scienza ermetica e ne ottenne questa ricetta: “Piglia dieci marchi d’argento; mesci mercurio, olio d’ulivo, solfo; fondi a fuoco moderato; cuoci a bagnomaria, rimenando sempre; dopo due mesi secca il tutto in una storta di vetro coperta di creta; tieni il prodotto per tre settimane sulle ceneri calde; unisci piombo; fondi al crogiuolo e sottometti il prodotto alla raffinazione; vedrai i dieci marchi d’argento cresciuti di un terzo.”
Non riuscendo nemmeno in questo modo ad ottenere la Pietra filosofale, ma incolpando di ciò la sua imperizia e non l’Arte alchemica, continuò nel suo peregrinare per il mondo. Giunto ormai a settantadue anni e dopo aver dilapidato quasi tutti i suoi averi arrivò a Rodi, dove per tre anni divenne discepolo di un frate che alla fine gli avrebbe rivelato il grande segreto della scienza ermetica, e cioé che “Natura contiene natura e natura si fa gioco di natura, il che significa che non è possibile accoppiare un cavallo con una balena o un metallo con una pianta.” Un’autentica beffa per chi aveva dedicato tutta la sua vita ad inseguire quella che si era rivelata una chimera. Tuttavia Bernardo non si perse d’animo e trascorse gli ultimi sette anni che gli rimasero a scrivere vari trattati sulla scienza al cui studio aveva dedicato l’intera sua esistenza.
Bernardo Trevisano fu, dunque, un alchimista esoterico, conoscitore della filosofia aristotelica e della medicina galenica. Nelle sue opere disserta della generazione dei metalli sotto terra e della loro diversità. Nelle operazioni dell’Arte congiunge il mercurio all’oro, cioè il paziente all’agente, e così afferma che ciò che si dissolve si unisce a ciò che deve essere dissolto e che le due sostanze permangono, quindi, indivisibili. Bernardo annota in un manoscritto un resoconto dettagliato, anno per anno, delle spese sostenute con grande precisione e noiosa minuzia, ed elenca tanti avvenimenti che hanno il sapore dell’inutile e dello stravagante. Siamo, in realtà, in presenza di un “divertimento cabalistico”, nel quale Trevisano ha voluto descriverci, a modo suo, i punti salienti dell’Opera, così come fece Flamel con la storia del suo viaggio iniziatico. Proviamo a darne una lettura.
I primi libri che legge (il principio dell’Opera) sono di Rasis e Geber. Rasis (dal greco ράσσω, che vuol dire percuoto, urto, batto) è il principio maschile. Geber (γἦ βαρύς) è la terra pesante, la nostra magnesia, il principio femminile. Studia, poi, per tre anni, insieme ad un monaco, le opere di Archelao, Rupescissa e Sacrobosco. Archelao, come suggerisce l’etimologia del termine, rappresenta l’inizio della Pietra con le tre reiterazioni. Il Monaco è una classica rappresentazione del globo crucifero e rappresenta anche il sale. Dalla pietra spezzata (rupe-scissa) si genera, così, il rivolo di acqua viva che vivifica il bosco, o meglio il giardino, sacro (sacro-bosco). Unisce, poi, l’Argento fine e l’Argento vivo con un’Acqua vivente, li lascia separati in due fiale per dodici mesi e quindi li mescola: è l’inizio della Sublimazione. Quindi lavora con un dottore monaco di Cisteaux (in realtà Citeaux, abbazia cistercense della Borgogna) di nome Leuvrier: κίστη è il paniere o cesta, ossia il vaso dell’Arte; anche il nome, Leuvrier, ricorda il cane, e ancora il vaso di vetro. Il riferimento è a βίκας, tazza, coppa, orcio: è il vaso di Natura; è la putrefazione finale della pietra del 1° ordine. Compare, dopo, un uomo, “gentil clerc”, detto Maitre Henri. Henri, INRI, è il fuoco della cottura finale per la pietra del 2° ordine. Con la ricottura il figlio è stato rimesso nel ventre della madre e così si arriva alla Pietra filosofale (3° ordine). Tutto chiaro, no?
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