Print This Post Print This Post

ILNUOVOPAESE.IT dell'8/14 agosto 2024, Numero 32 (Anno XIV) - IN COPERTINA (Ed. estiva)

SCIENZA STORIA & NOI – Alla ricerca del nostro più antico antenato

(Imaggine internet)
L'evoluzione umana "possibile" (immagine internet)

L’evoluzione umana “lineare”, così come viene comunemente rappresentata, ma non più veritiera secondo le più recenti scoperte (immagine internet)

a cura di Roberto Macchiarelli

R. Macchiarelli(Paleoantropologo, già professore ordinario al Dipartimento Geoscienze dell’Università di Poitiers e al Muséum di Storia Naturale di Parigi)

DI ANTENATI ne abbiamo un numero impressionante, difficilmente quantificabile. Oltre, ovviamente ai nostri genitori naturali, anche i loro relativi genitori e, a loro volta, i genitori di quest’ultimi, e così via indietro nel tempo, fino a sfiorare l’infinito, sono degli antenati diretti. Pur se nel nostro patrimonio genetico l’impronta del loro contribuito si è progressivamente diluita (ma mai completamente), la loro esistenza ha contribuito alla nostra attuale esistenza. Si tratta di una filiazione.

Rappresentazione artistica del contesto dove oltre 4 miliardi di anni fa si sviluppò LUCA, il più antico organismo vivente (immagine da Science, luglio 2024)

Rappresentazione artistica del contesto dove oltre 4 miliardi di anni fa si sviluppò LUCA, il più antico organismo vivente (immagine da Science, luglio 2024)

Schema dell’albero evolutivo della vita (immagine da Science 372, 2021)

Schema dell’albero evolutivo della vita (immagine da Science 372, 2021)

Ci sono poi quelli che potremmo chiamare dei predecessori, che però non hanno, o non dovrebbero avere, avuto alcun ruolo rispetto a noi. Per esempio, fino a prova contraria (assolutamente da non cercare), in noi non ci dovrebbero essere tracce organiche del cugino del nostro bisnonno, o del suo migliore amico, per dire, un entourage prossimo, simile, affine ai nostri antenati diretti, ma comunque distinto.
Meglio non indagare oltre. Tentiamo invece di sfiorarlo questo infinito.
Da sempre, geologi, biologi e geochimici ricercano le primissime tracce della vita sul nostro pianeta. Inutile dire che il loro lavoro rasenta talvolta la “missione impossibile”. I progressi tecnologici ci danno però una mano considerevole, tanto che le scoperte si susseguono. La più recente, sorprendente, è proprio di qualche settimana fa: il cosiddetto «ultimo antenato universale comune» (LUCA, secondo l’abbreviazione anglosassone), capostipite dei batteri (procarioti) e via via degli organismi più complessi (gli eucarioti, come le spugne, i dinosauri, noi), sarebbe già esistito intorno a 4,2 miliardi di anni fa, e avrebbe avuto un patrimonio genetico di circa 2,7 megabasi (misura della lunghezza fisica di sequenze di acidi nucleici a doppio filamento, ndr), mentre noi umani ne possediamo 3.400, capaci di generare qualcosa come 2.600 proteine. Purtroppo non possediamo – e probabilmente non le troveremo mai perché non si sono preservate – le tracce fossili di LUCA, ma possiamo stimarne approssimativamente l’esistenza, il contesto, il modo di funzionare.
Per tornare al concetto di filiazione, per definizione LUCA sarebbe l’antenato di tutti gli esseri viventi, estinti ed attuali, alla base delle successive ramificazioni dell’albero della vita, mentre un dinosauro, per esempio, non sarebbe un nostro antenato – anche se con i rettili condividiamo un antenato comune tra gli amnioti primitivi – e antenato non lo è neppure lo scimpanzé, malgrado quest’ultimo sia la forma di vita a noi più vicina nell’attuale biodiversità.

Qual è la differenza tra “panini” e “ominini”?

Lo scheletro dell’Ardipiteco (Etiopia), uno dei membri più antichi del ramo evolutivo degli ominini (immagine da Science 326, 2009)

Lo scheletro dell’Ardipiteco (Etiopia), uno dei membri più antichi del ramo evolutivo degli ominini (immagine da Science 326, 2009)

Effettivamente lo scimpanzé (Pan), poco importa la specie, e noi (Homo sapiens) condividiamo un antenato comune – abbreviato in LCAP-H – rispetto al quale le due rispettive branche – quella detta della tribù “panini” e quella della tribù “ominini” – sono evolute separatamente adattandosi in modi diversi. Un umano non è una forma evoluta di scimpanzé, né lo scimpanzé è una versione primitiva degli esseri umani: siamo organismi distinti, due apicali di successo (almeno fino ad oggi…) nella complessa e straordinaria diversità del vivente che condividono una storia relativamente recente di antenati comuni alla base della biforcazione “panini-ominini”.
Secondo calcoli basati sul cosiddetto orologio molecolare e sul registro fossile, questo LCAP-H né scimpanzé né umano sarebbe vissuto in Africa almeno 6 milioni di anni fa (durante il Miocene superiore). Purtroppo i resti ossei e dentari dei membri della famiglia degli ominidi disponibili per queste fasi dell’evoluzione sono scarsissimi, soprattutto in contesti intertropicali. Va poi da sé che, in realtà, la probabilità di identificare quello che fisicamente rappresenta un «ultimo antenato comune», poco importa di chi, è infima.
Inutile dire che da decenni la competizione tra i gruppi di ricerca per avvicinarsi comunque a questo obiettivo, al nodo di divergenza “panini-ominini”, è del tutto eccezionale e, questo invece va detto, senza esclusione di colpi, a cominciare per la corsa ai finanziamenti. Ma dopotutto anche la scienza è un fenomeno umano, con tutte le sue sfaccettature.
In ogni caso, nel registro paleoantropologico ci sono almeno tre pretendenti a voler rivestire il ruolo onorifico di più antico membro del ramo ominino, cioè quello che condurrà a noi attraverso un percorso non certo lineare e molto, molto accidentato: il Sahelanthropus del Chad, l’Orrorin del Kenya, l’Ardipithecus d’Etiopia, di età compresa tra 7 (?) e 4,4 milioni di anni fa.
I criteri d’attribuzione di questo status prestigioso sono però piuttosto fluidi e non consensuali, essi stessi evolutivi in funzione dei progressi tecnologici, degli sviluppi teorici e delle scoperte sul terreno. Per semplificare, diciamo che la pratica abituale della bipedia come comportamento locomotorio principale e la riduzione della taglia dei denti canini – quest’ultima come proxy di una riduzione del livello di dimorfismo sessuale, dunque della competizione tra maschi con conseguenze sulla struttura e sull’organizzazione sociale dei gruppi – sono tra i criteri discriminanti più considerati.

Ricostruzione di un Parantropo, un ominino estinto che convisse per oltre un milione e mezzo di anni con i primi rappresentanti del genere Homo (immagine da Science 379, 2023)

Ricostruzione di un Parantropo, un ominino estinto che convisse per oltre un milione e mezzo di anni con i primi rappresentanti del genere Homo (immagine da Science 379, 2023)

Tutto qui? Certo che no, ma non siamo ancora in grado di sapere se il “primo” ominino aveva ancora 48 cromosomi, come le grandi scimmie attuali – e, verosilmente, come LCAP-H – o già 46, come noi (in seguito a fusione nel nostro cromosoma 2). Ugualmente, malgrado i tanti progressi, ci sfuggono importanti dettagli sulla fisiologia e sul metabolismo degli antichi ominidi, cioè sul loro funzionamento in quanto organismi, anche se il numero di reperti fossili identificati negli ultimi tre decenni è notevolmente aumentato e destinato ad ampliarsi, cosa che permette di precisarne la morfologia e diversi aspetti comportamentali.
Non vi sarà sfuggito che tra i criteri non compare il volume cerebrale, quello che consideriamo una sorta di marcatore della distanza tra lo scimpanzé e noi, altrimenti morfologicamente simili. Effettivamente, per diversi milioni di anni dopo la comparsa del “primo” ominino, la natura non investì granché nello sviluppo di questo organo, complicato e costoso dal punto di vista energetico, privilegiando invece altre opzioni rivelatesi di successo (come l’affinamento della bipedia, l’adattamento dei denti ad uno spettro alimentare più ampio…). Così, per trovare nei nostri antenati cervelli più voluminosi di quello degli scimpanzé, gli ominini hanno dovuto attendere molto, molto tempo.
E se poi a quel punto la natura non avesse “sbagliato”?

(Imaggine internet)

“Malgrado i tanti progressi, ci sfuggono importanti dettagli sulla fisiologia e sul metabolismo degli antichi ominidi” (Immagine internet)


In attesa del Big Crunch, quando l’universo smetterà la sua espansione per collassare su se stesso

Quello del Big Crunch, in cosmologia, è un’ipotesi o modello cosmologico che gli esperti avanzano sul destino ultimo dell’Universo, sostenendo che esso smetterà fra miliardi e miliardi di anni – speriamo! – di espandersi e inizierà a contrarsi fino a collassare su se stesso, in maniera esattamente simmetrica all’iniziale Big Bang. Nel frattempo, come afferma a 94 anni Franco Ferrarotti, decano della Sociologia in Italia, la poesia è l’unica via di speranza per il progresso dell’Umanità? L’unica strada cioè – in tempi in cui l’Intelligenza Artificiale avanza con passo di marcia nel nostro futuro – attraverso la quale l’uomo potrà conservare e tramandare alle future generazioni la propria originalità e specificità?
(Fr. Ca.)
 Immagine

Le ereditarietà fisiche morali e psicologiche dei genitori si avvertono palpabili nel nostro stesso modo di essere. Lo sguardo folto e accigliato di nostro padre si combina col sorriso luminoso di nostra madre. L’altezza è del nonno paterno, l’andatura della nonna materna. Ma se si riuscisse ad andare al di là nella ricerca dei nostri avi?

Antenati

A volte la loro impalpabile presenza
è qui con me. Ignaro cammino solo
insieme a loro e sulla pelle quel soffio
di vita retroattivo. Nello specchio
ombre s’affannano dal davanzale
delle mie palpebre. I miei occhi
riflettono lo scarto di generazioni
e generazioni affondando lo sguardo
sin nella notte di quell’alba
dove tutto ebbe inizio.
Le mie dita con scopo di inesplicabile metempsicosi
si trasformano in artigli zampe pinne ali.
Tutto me stesso diventa conchiglia roccia acqua cielo.
E verso quel cielo con effetto boomerang
corre polvere di stella residuo di big bang.

© Francesco Caroli – 19/5/2012
Da «Fermare il mondo con un dito – Raccolta di poesie senza preciso movente» (2012, pag. 60)
Stampa

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.

*