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«Leggi tu, leggo anch'io... leggiamo insieme». I libri che rendono più ricca la nostra vita

«Trilogia della città di K” di Agata Kristof, uno dei cento libri che bisogna leggere

Riprendiamo con un’altra formula la rubrica che ha come obiettivo quello di invogliare alla lettura. Come altre volte abbiamo già rimarcato, in questi ultimi anni, per tutti, o quasi tutti, leggere non è più una priorità assoluta. Si preferisce “navigare” in internet su tablet e cellulari, alla ricerca di un qualcosa che ci aiuti a trascorrere il tempo libero. E questo è valido anche per chi in un più o meno recente passato aveva sempre un libro a portata di mano. Ora questa sana abitudine si va perdendo… E non è un bene. Umberto Eco amava dire: «Chi non legge, a settant’anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5 mila anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… Perché la lettura è un’immortalità all’indietro». Presentiamo con piacere in questa occasione il romanzo di Agota Kristof, Trilogia della città di K, una vera e propria “favola nera” che ha come ultimo e principale messaggio quello di un anelito duro a morire: il senso della libertà dei popoli e delle persone. 

Due gemelli in fuga verso la libertà

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Due bambini, due vite unite ma anche separate in una vera e propria favola nera (immagini internet)

 

La copertina della prima edizione della "Trilogia della città di K" di Agata

La copertina della prima edizione della “Trilogia della città di K” di Agata Kristof  (Einaudi, 1998)

«Arriviamo dalla Grande città. Abbiamo viaggiato tutta la notte. Nostra madre ha gli occhi arrossati. Porta una grossa scatola di cartone, e noi due una piccola valigia a testa con i nostri vestiti, più il grosso dizionario di nostro Padre, che ci passiamo quando abbiamo le braccia stanche. / Camminiamo a lungo. La casa di nonna è lontana dalla stazione, all’altro capo della Piccola Città. Qui non ci sono tram, né autobus, né macchine. Circolano solo alcuni camion militari».
È questo l’incipit della Trilogia della città di K, di Agota Kristof, una “favola nera” – come  si anticipa già dalla copertina della prima edizione italiana, Einaudi (1998) – “dove tutto può essere il contrario di tutto”.
Nelle prime battute di questo romanzo si definisce dunque con poche frasi il climax che attraverserà tutte le successive pagine del libro. I periodi sono brevi, come flash che impressionano una pellicola in una “notte” buia. E un senso di angoscia prende allo stomaco il lettore, senza che vi sia una sola parola inquietante. Solo immagini che richiamano alla mente i vissuti del lettore. C’è un viaggio in treno – nella notte – dalla Grande Città alla stazione della Piccola Città, e dalla stazione fino alla casa della nonna, camminando a lungo con bagagli ingombranti. Vi è quindi una madre che piange e accompagna i due figli dalla nonna. Un padre lontano non si sa perché ma che ha consegnato ai suoi figli il suo testamento morale fatto –  immaginiamo – di regole e prescrizioni (il grosso dizionario). È un abbandono? Un distacco? O qualcosa di più?
La Trilogia della città di K è uno dei cento romanzi “classici di nuova generazione” che vale la pena di leggere, inserito in una lista elaborata qualche anno fa da Feltrinelli. Di cosa si tratta?
In breve, questa la trama.
In un paese in guerra, occupato da armate straniere, due gemelli, Lucas e Klaus, vengono consegnati dalla madre –  costretta a fuggire – nelle mani della nonna che vive in campagna. La nonna: una specie di strega! È una donna «terribile, analfabeta, sporca, avara, cattiva».
I bambini crescono perciò attraverso un’educazione dura impartita in modo spietato. E ne rimangono per sempre segnati. Klaus dopo tante traversie riesce a passare la frontiera verso un paese che si immagina libero, ma verrà presto disilluso e peraltro sradicato dalle sue abitudini. Lucas resta invece in campagna con la nonna, cercando di cambiare le cose verso un mondo a misura d’uomo. Aiuta generosamente le persone che gli sono vicine, ma anche lui si scontra con la realtà, vivendo in un regime totalitario che ha come scopo quello di abolire ogni gesto di solidarietà.
Cerchiamo a questo punto di comprendere qual è il substrato dell’autrice che ha portata a scrivere questo libro perturbante, comunque difficile da dimenticare.

Agata Kristof

Agata Kristof

Agata Kristof nasce in Ungheria nel 1935 in un villaggio di campagna. Vi abita per ventuno anni, quando nel 1956 è costretta ad espatriare con la famiglia in Svizzera a causa della guerra contro l’URSS. Vive per tutta la vita la sua “fuga” come «un trauma senza rimedio». Nei suoi libri sono infatti sempre presenti i temi dell’espatrio e dell’abbandono della propria terra a causa della guerra. È quindi evidente che parte dalla sua storia personale per narrare le vicende della Trilogia della città di K, con cenni autobiografici della sua infanzia vissuta con il fratellino. Per questo motivo la prima parte della trilogia risulta veritiera, descrivendo molto bene i temi della censura, della corruzione, della povertà, della violenza, della repressione e della chiusura dei confini da un paese all’altro.
«Nel libro», afferma Agata Kristof, «cambiai il mio nome e quello di mio fratello e trasformai i personaggi in due maschi e poi in due gemelli. Da quel momento non scrissi solo di cose da me vissute ma cominciai a immaginare altro. Lasciai l’autobiografia e riorganizzai quei capitoli per una struttura romanzesca.»
La Trilogia della città di K è suddivisa in tre libri, scritti con tre stili diversi.
Il grande quaderno è appunto una “fiaba nera”, ma anche un vero e proprio romanzo di formazione all’interno di un contesto di guerra e di totalitarismo. La lettura di questa prima parte non lascia indifferente il lettore, soprattutto per la violenza e le dure e crude descrizioni di sofferenze fisiche e psichiche elargite dalla megera ai due nipoti.
La prova  segue invece le vicende di Lucas T., che rimane solo in seguito alla fuga al di là della frontiera dell’altro fratello. Immediato è il cambiamento del punto di vista. Dalla prima persona plurale si passa alla terza persona. I periodi diventano più lunghi ed elaborati e si dà spazio a diversi personaggi. Lucas, dopo la fuga del fratello, diventa un individuo isolato, si rifiuta di mangiare e viene descritto come lo “scemo del villaggio”. Il fratello non esiste più, nessuno lo nomina. Però Tomas continua a scrivergli con la speranza che prima o poi si ritroveranno. Alla fine di questo seconda parte l’autrice confonde le carte e il lettore non riesce quasi più a raccapezzarsi.
La terza menzogna è invece il racconto delle rivelazioni, che ci conduce fuori dal labirinto narrativo costruito con destrezza stilistica da Agata Kristof.
In conclusione, Trilogia della città di K è senza ombra di dubbio un capolavoro letterario dalle mille sfaccettature, che lascia nel lettore un ricordo che non facilmente si cancella. È un’opera che va letta almeno una volta nella propria vita poiché non è un semplice romanzo ma «una vera e propria immersione nei lati più oscuri e reconditi dell’animo umano».
Un’ultima annotazione. Molte sono le testimonianze reperite in rete di personalità che parlano della Trilogia della città di K e che dicono cosa li ha portati a leggerlo. Personalmente ne sono venuto a conoscenza attraverso la lettura di un altro libro: Io e te di Niccolò Ammaniti (Einaudi, 2010).
Rifugiatosi in cantina il quattordicenne Lorenzo riceve la visita inaspettata della sorellastra Olivia. La ragazza cerca uno scatolone che gli appartiene.
«Olivia è seduta a gambe incrociate, ha tolto lo scotch e ha cominciato a tirare fuori libri, cd, vestiti, trucchi e a buttarli a terra. – Eccolo. Era un libro bianco con la copertina tutta consumata. Trilogia della città di K

Francesco Caroli

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